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Alessitimia: tu chiamale (se puoi) emozioni

Tutte le cose sono piene di déi”
Talete di Mileto

In un recente articolo intitolato “Perché l’anestesia dei sentimenti è un rischio della nostra civiltà” Massimo Recalcati parla di alessitimia: un disturbo che questo autore definisce come “un congelamento affettivo della vita umana”. Vi basta cliccare sul titolo per leggere l’acuta riflessione di Recalcati che a me serve qui come spunto per un’amplificazione sul dentro e sul fuori e su quel confine del tutto arbitrario che noi tutti siamo abituati a mettere: la demarcazione fra esterno e intimo e fra profondo e superficiale.

Il termine alessitimia significa, letteralmente, non avere le parole per le emozioni e si riferisce all’incapacità di certi individui di riconoscere e di descrivere i propri stati emotivi e quelli degli altri.

Non si può dire che un alessitimico non provi emozioni ma piuttosto che, non riconoscendole, sperimenti qualcosa di confuso, una sensazione più simile ad un dolore fisico che ad uno stato d’animo.

Quando identifichiamo ciò che stiamo provando, quando diamo un nome a qualcosa che accade dentro riuscendo a distinguere la rabbia dalla paura o dal disgusto, compiamo un gesto che serve a contenere e, in un certo senso, a possedere invece di essere posseduti: se so di che emozione si tratta posso agirla, posso provare a trattenerla o posso trovare un antidoto che sia adatto a stemperarla o a ritardarne gli effetti. Continua a leggere

La “capacità di esistere”

L’obbedienza comporta un senso di inutilità
per l’individuo ed è associata all’idea che
nulla abbia importanza e che la vita
non meriti di essere vissuta”
D.Winnicott

Quando certi psicoanalisti parlano di seno stanno compiendo un’operazione linguistica che sostituisce la parte al tutto. Tentano con questa metafora di descrivere il mondo come si suppone il bambino faccia, scambiando, cioè, una funzione che ha a che fare con la soddisfazione dei propri bisogni con la persona che questa funzione la svolge.
La mamma è buona o cattiva a seconda di quanto viene incontro ai miei desideri e di quanto è pronta ad esaudirli. Un “seno” buono o cattivo diventa così una descrizione di uno stato d’animo: se avevo bisogno e sono stato sfamato/soddisfatto/consolato, se si è verificata quella simbiosi che annulla la tensione e procura piacere, classifico l’esperienza come buona, se, al contrario, sono ancora affamato/frustrato/sconsolato, se nessuno è venuto veramente in mio soccorso, l’esperienza è cattiva, sgradevole, traumatica.

Non pensiate che il bambino faccia un ragionamento su questo sequenza semplificata: siamo nel campo delle sensazioni e queste “pensate” vanno a finire in quella che si chiama memoria implicita e “… la memoria implicita è quella che usiamo quando impariamo ad andare in bici o a gettare una palla. Non dobbiamo sforzarci di registrare nulla quando la utilizziamo, è semplicemente lì nei nostri corpi, pronta da usare. Questo tipo di memoria è controllato da una parte profonda del cervello, lontano dai centri superiori, responsabili del pensiero concettuale e della consapevolezza.”(M.Epstein).

Questa registrazione profonda è in un certo senso molto più primitiva di quella che facciamo con la cosiddetta memoria esplicita: quella narrativa che mette le esperienze in sequenza e che cerca di ordinare i dati in base ad un senso o ad una storia. Continua a leggere

Mindfulness: un antidoto alla paura

 

Muoviti, ma non muoverti nel modo in cui le paure ti muovono”
Rumi

Il premio Nobel Aung San Suu Kyi, una che di coraggio se ne intende, nel suo libro “Libertà dalla paura”, parlando del potere e del rapporto fra chi lo esercita e chi lo sopporta o subisce, dice: “Non è il potere che corrompe ma la paura. La paura di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura delle punizioni date dal potere corrompe chi a quel potere è soggetto.”

Questa affermazione è terribilmente reale per chiunque viva o abbia vissuto in un regime come quello a cui la scrittrice si è opposta ma credo sia altrettanto vera per noi che, in un contesto molto meno autoritario e relativamente liberi dalle pressioni di un potere non democratico, riusciamo comunque a farci corrompere dalla paura.

Dal punto di vista di uno psicologo la paura, oltre ad essere una delle cosiddette emozioni primarie, è, nell’interazione con i pazienti e, in generale, come oggetto di studio, una costante dello sfondo.

C’è la paura del depresso che si ritira e sente di non avere la forza di vivere, quella dell’ossessivo che crede che solo un mondo stabile e immutato possa garantire un minimo di sicurezza, quella dell’ansioso che la paura la rumina nell’anticipazione degli eventi o nel tentativo di allontanare la minaccia di… ciò che vuole evitare. E c’è una sorta di paura sociale, qualcosa in cui tutti siamo immersi e che, credo, alimentiamo ogni volta che dimentichiamo di rendere abbastanza denso il nostro pensiero. Continua a leggere

Intelligenza: femminile, singolare

 

La prima di tutte le astuzie, sempre, sta nel velarsi.
Coprirsi il capo senza che questo sia un camuffamento…
Nessuna menzogna ma una falsità che racconta il vero”
M.Nucci

 

Parlerò, in questo post, di una capacità e di un antidoto. Due cose, racchiuse in un unico “farmaco” di cui, credo, occorra essere ben forniti e che tornano utili, di questi tempi; e che tento di stimolare, in seduta, come rimedi naturali: forze che sono già lì, nell’inconscio, e che, quando si attivano o quando vengono amplificate, cambiano un bel po’ di cose nel modo di fare e di pensare di chi può usarle.

Parlerò di prudenza e astuzia. E siccome sono due termini diventati ambigui e verso i quali scattano facilmente delle resistenze e, siccome ne parlerò come di due caratteristiche prevalentemente “femminili”, prendo un giro largo che passa dalle immagini della mitologia e da alcune metafore che, più che definire, richiamano idee e concetti, che sia con la capacità che con l’antidoto, hanno a che fare.

Nella terza delle sue Lezioni Americane Italo Calvino, parlando dell’Esattezza e dello sforzo che a volte gli capitava di compiere nell’accingersi a scrivere su un certo argomento, dice: “Alle volte cerco di concentrarmi sulla storia che vorrei scrivere e m’accorgo che quello che m’interessa è un’altra cosa, ossia, non una cosa precisa ma tutto ciò che resta escluso dalla cosa che dovrei scrivere; il rapporto tra quell’argomento determinato e tutte le sue possibili varianti e alternative, tutti gli avvenimenti che il tempo e lo spazio possono contenere. E’ un’ossessione divorante, distruggitrice, che basta a bloccarmi. Per combatterla, cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi ancor più limitati, poi a suddividerli ancora, e così via. E allora mi prende un’altra vertigine, quella del dettaglio del dettaglio del dettaglio, vengo risucchiato dall’infinitesimo, dall’infinitamente piccolo, come prima mi disperdevo nell’infinitamente vasto.”

Naturalmente Calvino, vista la sua produzione letteraria, ha trovato degli ottimi modi per aggirare l’ostacolo e per non perdersi in nessuna delle due vertigini: né in quella del troppo grande, né in quella dell’incredibilmente piccolo.

Questa capacità di circoscrivere e di non entrare fino ad essere risucchiati nei dettagli, questo buon uso della misura che permette di dosare ciò che verrà detto e di filtrare ciò che, di un contesto, si coglie, corrisponde ad un tipo particolare di intelligenza: un modo di distinguere fra segnale e rumore; prendere o far passare certe cose, trattenerne/ritenerne altre che, magari, in quel momento vanno ignorate o velate o contenute ancora per un po’. Continua a leggere

Emozioni e cervello

…un’emozione allo stato selvatico
può essere addomesticata da un’emozione cosciente…”
J. Hillman

 

Charles Joseph Whitman è stato un Marine americano tristemente noto per aver compiuto una strage il 1 Agosto 1966 ad Austin. Quel giorno Whitman, dopo aver ucciso durante la notte la madre e la moglie, salì sulla torre dell’Università e con 46 colpi di fucile uccise 16 persone e ne ferì altre 30. Alla fine fu ucciso dalla polizia che trovò una lettera scritta di suo pugno in cui chiedeva che, “dopo che tutto fosse finito”, si eseguisse un’autopsia sul suo cadavere. Autopsia che rivelò la presenza nel cervello dell’assassino di un tumore all’amigdala: una formazione sottocorticale implicata nella modulazione e nella percezione di emozioni primarie in particolare la paura e la collera (più precisamente i meccanismi di attacco-fuga e le emozioni ad essi collegate).

Amigdala

Questo non è che uno (e ovviamente dei più eclatanti) casi clinici che “dimostrano” un nesso diretto fra certe strutture del cervello e certe specifiche difficoltà nel controllo delle emozioni. Continua a leggere

Flow

ChagallBacheca

 

Il flusso è una metafora, un modo per esemplificare uno stato in cui mente e corpo, sintonizzati fra loro e con l’ambiente, sembrano scorrere liberamente e senza sforzo regalandoci momenti un cui è un piacere fare esattamente ciò che si sta facendo. Il flusso capita e a volte quasi ci sorprende: magari stiamo correndo o ballando, leggendo o scrivendo, studiando, giocando… e ci ritroviamo ad essere immersi in uno stato che è, contemporaneamente, leggero e intenso, coinvolgente e poco impegnativo.

“Il flusso avviene quando la mente esce dai propri confini e libera l’immaginazione. Il flusso non si cura delle barriere, le supera. Il flusso è essere assorbiti, senza sforzo, nel compito, nel momento, nel potenziale. Il flusso è forza emozionale fluida che dà energia e rende sinergici fra di loro gli interessi, le attitudini e i talenti che si allineano perfettamente con il compito e sono completamente assorbiti in esso. Quando gli studenti, ad esempio, sono completamente presi dal processo di apprendimento e lavorano per trovare una soluzione o finire un progetto, lì accade il flusso di apprendimento. Quando il suo cuore, la sua mente e i suoi muscoli e la sua anima si sincronizzano sull’apprendimento, si può dire che lo studente sta fluendo al meglio delle sue potenzialità.”

P. O’Grady “The Positive Psychology of Flow” citato in Writing and the Creative Life: Flow

Vedi anche il mio post “Il flusso di energia e di informazione”.

 

Emozioni nel corpo

Solo il vero sapere ha potenza sul dolore”
Eschilo

In uno studio di “mappatura delle emozioni nel corpo” un gruppo di scienziati Finlandesi ha chiesto a 700 volontari di indicare dove sentivano nel loro corpo certe specifiche emozioni. Hanno quindi messo a disposizione di ogni persona due silhouettes bianche chiedendo di disegnare su una di esse le parti del corpo che sentivano stimolate e sull’altra quelle che sentivano disattivate quando pensavano e cercavano di sentire ciascuna delle 14 emozioni che venivano loro presentate.

Non tutti hanno rappresentato la stessa emozione nello stesso modo. Ma quando i ricercatori hanno messo a confronto le mappe e costruito una media ne sono usciti dei modelli di rappresentazione che fanno vedere come mediamente le persone percepiscono nel corpo certe emozioni più o meno complesse.

Emozioni nel corpo2

Le persone hanno disegnato mappe dei punti del corpo nei quali percepivano emozioni di base (riga superiore) e emozioni più complesse (riga inferiore). I colori caldi indicano regioni che le persone considerano stimolate durante l’emozione. I colori freddi indicano aree considerate non attivate.

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Ansia: un primo antidoto

“L’ansia è quel che più uccide l’amore. Crea i fallimenti.
Fa in modo che gli altri si sentano come tu ti sentiresti
se una persona che sta affogando si aggrappasse a te.
Vorresti salvarlo ma sai che, con il suo panico,
potrebbe strangolarti ”
Anaïs Nin

Tutti portiamo un cronico fardello di ansia: una sorta di secondo corpo non visibile ma percepibile internamente.
E’ lì che possiamo andare ogni volta che ci chiedono o ci chiediamo “come ti senti?”: diamo un’occhiata e sappiamo quanto in pace o in conflitto, in armonia o in dissonanza, attivati o disattivati siamo.

E’ un giudizio soggettivo che non ha niente a che fare con le misurazioni esterne: una persona può sembrare calma e sentirsi terribilmente ansiosa, può dissimulare e nascondere ma, proprio per questo, a volte, essere ancora più agitata.

Solo coloro che ci conoscono bene sono in grado di cogliere quei piccoli segnali che fanno la differenza e ci sono frangenti in cui se ne accorgono prima gli altri, della nostra ansia, perché noi siamo impegnati a difenderci dalla sua presa e nel tentativo di non sentirla attiviamo quelle difese che ci sembra che possano allontanarla.

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Veleni della mente

Facemmo esperienza,
ma ci sfuggì il significato e avvicinarci
al significato, restituisce l’esperienza
in forma diversa”

T.S. Eliot

Nel suo ultimo libro “L’amore, la sfida, il destino” Eugenio Scalfari, parlando del giudizio e dei modi con cui è possibile metter ordine nelle “classifiche che ognuno di noi stila” degli altri essere umani, dice: “Ci sono molti modi per classificare la nostra specie e ognuno adotta il modo che più gli è congeniale: i ricchi e i poveri, i colti e gli ignoranti, i bassi e gli alti, i furbi e i gonzi e così via. Credo che la classificazione che meglio chiarisce la nostra identità – o per lo meno quella che a me più interessa – sia tra consapevoli e inconsapevoli, tra coloro che conoscono le conseguenze di quanto decidono di fare e quelli che neppure si pongono questo problema o comunque sono indifferenti o incapaci di risolverlo. I consapevoli sanno di star giocando la partita della vita, gli inconsapevoli la giocano anch’essi perché sono anch’essi alle prese con istinti, pulsioni, passioni, sentimenti, ma non lo sanno; sono schiacciati sul presente, conoscono poco o per nulla il loro passato e lasciano che il futuro gli piombi addosso.”

Senza consapevolezza, gli istinti, le passioni e le pulsioni, i sentimenti e gli affetti, non sono che forze che trascinano: può darsi che aumentino la sopravvivenza dell’individuo che da esse è trasportato, può essere che anche chi gli sta vicino, i suoi cari e, in generale chi ha a che fare con lui, beneficino della tensione che da queste forze si sprigiona; ma può anche darsi che, come un torrente in piena, queste spinte determinino la sua vita e travolgano quella degli altri senza che la sua coscienza intervenga a modificare il corso di quanto gli succede.

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Mindfulness: i filtri e le cose

“Quando guarda la primula il poeta apprende qualcosa di sé creatore.
Il suo orgoglio è accresciuto vedendosi nell’atto di dare un contributo
ai vasti processi di cui la primula è un esempio”

G. Bateson

Praticando la mindfulness: decidendo di prendere quella posizione in cui il flusso delle cose e “del mondo” subisce meno le interferenze di ciò che già sappiamo, capita di rendersi conto di quanto “la realtà” sia continuamente filtrata da un processo che è sempre all’opera dentro di noi e che coglie certe cose per lasciarne perdere altre.

In un breve saggio del 1974 intitolato “La Creatura e le sue creazioni”, Gregory Bateson, prendendo come esempio uno dei possibili soggetti dell’esperienza dice : “Il poeta si vede separato dalle <<cose come sono>>. Infatti c’è un oggetto su cui l’organismo (in questo caso il poeta) non può dire nulla e, nel suo poemetto, questo oggetto è chiamato <<le cose come sono>>. Forse questa cosa, questo oggetto ineffabile, è solo una finzione.”.

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