“L’esistenza è inesorabilmente libera e quindi incerta”
I.D.Yalom
Quando in psicologia si parla di resistenza in genere si fa riferimento a una difesa contro qualcosa di temuto: contro qualche contenuto del mondo o della psiche che potrebbe far soffrire chi, invece, “decide” che quella cosa non la vuole vedere, affrontare, sopportare.
Ci difendiamo da nemici esterni ed interni e lo facciamo più o meno consciamente. Certe resistenze sono volute e consapevoli ma, siccome sin dalla nascita lottiamo in molti modi per tenere fuori parti del mondo e per evitare il dolore, gran parte dei filtri che stanno tra noi e la sofferenza si attivano da soli. Tante resistenze sono quindi inconsce il ché equivale a dire che non sappiamo più bene da che cosa ci difendiamo e che i nostri confini hanno una permeabilità strana: ci sono stimoli che ci spaventano solo perché qualcosa in noi reagisce nei loro confronti come se fossero nocivi.
Basta osservare certe fobie per avere un’idea di questa scelta irrazionale dei “nemici”. Un paio di persone che ho seguito in terapia erano terrorizzate dalle farfalle, un paziente che vive a Milano aveva il terrore di essere assalito da un leone la sera quando rientrava a casa e doveva percorrere il vialetto fino alla porta d’ingresso, una ragazza ha rifatto innumerevoli volte il test dell’HIV pur non avendo da anni rapporti a rischio, ecc.
Ognuno di loro si rendeva conto della “follia” insita in queste paure. Tuttavia, così come non serve decidere di non pensare a qualcosa per toglierselo dalla testa, allo stesso modo non basta essere consapevoli dell’irrazionalità di un comportamento per modificarlo.
Come ebbe a dire Rollo May “l’angoscia cerca di diventare paura”: preferiamo che il terrore abbia un volto, cerchiamo di dare un nome al nemico e di immaginare qualcosa da cui difenderci piuttosto che difenderci dal… nulla. Ciò che differenzia la paura dall’angoscia è che mentre la prima ha un oggetto, quando siamo preda della seconda non abbiamo nulla contro cui combattere e proprio da questo siamo angosciati.
Invece “Se riusciamo a trasformare una paura del nulla nella paura di qualcosa, possiamo mettere assieme una qualche campagna autoprotettiva, ovvero possiamo evitare la cosa di cui abbiamo paura, cercare alleati contro di essa, sviluppare rituali magici per placarla, pianificare una campagna sistematica per disintossicarla”(Yalom).
Possiamo, insomma, sentirci meno impotenti.
Purtroppo con questa “soluzione” rischiamo di cadere nella trappola dell’ubriaco della storiella che, avendo perso la chiave di casa, la cercava sotto a un lampione non perché pensasse di averla smarrita in quel punto ma perché… lì c’era la luce. Scegliamo un nemico comodo contro cui resistere. É per questo motivo che uno psicoterapeuta cerca di far vedere al proprio paziente che c’è qualcosa sotto: c’è una profondità verso cui guardare e un retroscena per quasi tutte le nostre paure; ci sono vecchi dolori e abbandoni e solitudini che mettono in scena i leoni e le farfalle e le altre bizzarrie di cui riusciamo ad essere terrorizzati; ci sono molti innocui fantasmi e poche sostanziali minacce, mostri di cartapesta che coprono ciò che davvero andrebbe osservato.
Ci sono persone che fanno il lavoro contrario a quello dello psicoterapeuta. La storia insegna che chi vuole che ci arruoliamo contro qualche specifico nemico accende un lampione proprio lì dove vuole che mettiamo l’attenzione. E siccome comunque gli esseri umani preferiscono avere un oggetto contro cui dirigere la propria energia psichica capita che interi gruppi e a volte intere nazioni si convincano che è il caso di combattere contro certi fantasmi e che la paura finirà quando certi nemici verranno sconfitti e la sicurezza e la prosperità saranno possibili solo quando…
Ecco perché conviene, quando si guarda la luna indicata dal dito, accettare prima di tutto la propria stupidità: conviene adottare quella che nello zen viene definita mente del principiante e guardare, sì, la luna ma guardare molto bene anche il dito. Chi sta indicando che cosa? Quale lampione accende e cosa vuole che vediamo?