“ Nel gioco a somma zero dell’invidia,
c’è il mito che, se qualcuno ha qualcosa
di buono l’altro è sminuito”
G.O.Gabbard
Nell’introduzione al suo libro Mente e Natura Gregory Bateson diceva: “Pare che esista una sorta di legge di Gresham dell’evoluzione culturale, secondo la quale le idee ultra-semplificate finiscono sempre con lo spodestare quelle più elaborate, e ciò che è volgare e spregevole finisce sempre con lo spodestare al bellezza. Ciò nonostante la bellezza perdura.”
La legge di Gresham, che era un mercante e banchiere inglese del XVI secolo, afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona. Ai tempi circolavano monete il cui valore nominale era pari al loro contenuto in oro o in altri metalli preziosi e gli operatori di cambio, ma anche i privati cittadini, tendevano a tenere per sé quelle non danneggiate e a mettere in circolazione quelle più usurate o a cui erano state limate via piccole quantità di metallo. Succedeva così che, a lungo andare, le monete che restavano in circolazione avessero un valore intrinseco più basso di quello nominale.
Chi è interessato ad approfondire l’aspetto economico e sociale di questo fenomeno trova qui altri dettagli.
Di banchieri e del loro cuore e di economia e di valori in questi giorni si fa un gran parlare e il fatto che mi sia venuta in mente e che condivida con voi l’affermazione di Bateson sulle idee ultra semplificate e sul pericolo che per la bellezza possono rappresentare, dice un po’ di cosa penso su ciò che sta accadendo. Ma rimango nel mio ambito e credo che il mio compito sia più quello di riflettere su cosa accade nella psiche di tutti noi: cosa accade alla bellezza? Quali forze fanno pendere la bilancia dalla parte della semplificazione? Cosa fa scomparire la bellezza (temporaneamente?) nello sfondo?
Secondo la psicoanalisi l’invidia è un sentimento universale. Nasce o si manifesta molto presto nell’infante che sente di essere esposto e senza risorse in un mondo di adulti che invece, nella visione primitiva che può avere un neonato, sembrano possedere tutto: tutto il cibo, tutto il contenimento e l’affetto di cui lei/lui hanno bisogno. Un cucciolo di homo sapiens nasce incredibilmente prematuro e a differenza dei piccoli di altre specie per anni ha bisogno dell’assistenza dei propri caregiver. Ho letto resoconti di esperimenti piuttosto crudeli che “dimostrano” la reazione di invidia in un bambino molto piccolo sottoposto alla scena di un adulto che dà un dolcetto o un giocattolo ad un suo coetaneo senza controbilanciare con qualcosa anche per lui. Ma, lasciando perdere le dimostrazioni di comportamentisti sadici, credo che ognuno di noi possa trovare nella propria memoria un momento in cui ha provato il morso dell’invidia. Quel sentimento che Melanie Klein definì l’odio per l’oggetto precedentemente erotizzato: quell’insieme di emozioni che accompagnano il senso di vuoto e quella protesta rabbiosa che suona come un “e io? Perché lui sì e io no? Cos’ha lui che io non non ho per meritare il dono, l’oggetto, l’amore…?”
Ce l’avete presente, vero?
L’invidia è un sentimento universale che contiene quelli che la psicologia buddista definisce i tre veleni: l’avidità, l’avversione, l’ignoranza. Credo che sia uno dei sentimenti maggiormente responsabili della scomparsa della bellezza!
Uno dei modi per aiutare una persona a riflettere su un sintomo è quello di chiederle in che modo potrebbe costruirlo. Prendete l’invidia e provate a pensare agli ingredienti che servono per soffrirne. Oppure immaginate una platea che vorreste rendere invidiosa. Vi servirà un pò di avidità: potreste convincerli del bisogno assoluto di qualcosa, della sua irrinunciabilità… Poi dovrete aggiungere dell’avversione ed evidenziare quanto quella cosa che scarseggia è già nelle mani di qualcun’altro o, meglio ancora, quanto qualcuno che manco conoscono potrebbe rubare quel poco di risorsa che scarseggia e di cui loro hanno estremo bisogno. Infine sarà importante condire il tutto con un bel po’ di ignoranza. Per farlo davvero bene sarà importante costruire un modo di pensare che privilegi le idee ultra semplificate, quelle che arrivano direttamente alla pancia della gente: qualcosa che indigni o una bella generalizzazione che divide il mondo in buoni e cattivi, amici e nemici, vittime e carnefici. A quel punto per verificare il livello di invidia raggiunto potrete testarli chiedendo loro quanto è bello o brutto il mondo in cui vivono. Se la bellezza comincia a scomparire potrete vendere una ricetta facile che se applicata alla lettera li aiuterà a far scomparire i nemici, assicurare loro buon accesso alle risorse e farli sentire davvero intelligenti ad avervi dato ascolto.
Se invece dicono che c’è ancora della bellezza in giro e che si potrebbe provare a lavorare con ciò che c’è per evidenziarla e per condividerla, beh, allora dovrete di nuovo insistere sul mito che “se qualcuno ha qualcosa di buono l’altro è sminuito”. Dovrete mettere in circolo un altro bel po’ di avidità, avversione e ignoranza.
Naturalmente potreste anche lavorare per far circolare idee più elaborate. Ma quello è un lavoraccio, chi ve lo fa fare?