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Identità: una danza

“Un poco ci riguarda
il movimento della luna.
Il nostro corpo è d’acqua,
di nuvole tra poco”
F. Arminio

C’è un albero di ulivo nel museo di Vouves a Creta che ha 3000 anni. Ancora produce olive. Nel seme delle olive è presente il suo codice genetico, la traccia della sua identità, ciò che lo rende diverso da ogni altro ulivo.

Qualche giorno fa leggendo a caso un pezzo di un vecchio libro di Hillman, La forza del carattere, mi sono imbattuto in una citazione del fisico R. P. Feynman: “Gli atomi vengono nel mio cervello, ballano la loro danza, ed escono – ci sono sempre nuovi atomi, ma danzano sempre la stessa danza e conservano la memoria del ballo del giorno precedente.”

Presa così mi è sembrata la solita sparata New Age. Ma mi sono detto che  Feynman si è preso un Nobel per la fisica, è riconosciuto come un bravo comunicatore e come uno che quando diceva una cosa lo faceva stando ben attento all’esattezza di ciò che affermava e così sono andato a cercarmi il libro e l’articolo da cui la frase è stata presa. Il libro si intitola: “Che ti importa di cosa dice la gente?”. È una raccolta di lettere, brevi pezzi autobiografici e la trascrizione di un discorso tenuto all’Accademia Nazionale delle Scienze nell’autunno del 1955 e intitolato Il valore della scienza.

In quella trascrizione (che vi consiglio di prendere come un koan: un paradosso zen su cui riflettere) c’è la frase di cui sopra e i paragrafi che la precedono aiutano a far luce su ciò che Feynman intendeva: “Facciamo l’esempio di un articolo  scientifico: ‘Il contenuto di fosforo radioattivo dell’encefalo del topo diminuisce di metà in un periodo di due settimane’. Che cosa vorrà dire? Significa che il fosforo presente oggi nel cervello di un topo e nel mio e nel vostro, non è più lo stesso fosforo di due settimane fa. Significa che gli atomi del cervello sono stati sostituiti: quelli di prima non ci sono più. Che cosa c’è allora nella nostra mente? Che cosa sono questi atomi provvisti di coscienza? Le patate della settimana scorsa! Riescono a ricordare ora quello che c’era nella mia mente un anno fa – una mente che è stata sostituita da tempo. Accorgersi che la cosiddetta individualità è soltanto un disegno o una danza: ecco che cosa significa la scoperta del tempo che occorre perché gli atomi del cervello siano sostituiti da altri.” Segue poi la parte che ho citato all’inizio e una serie di altre riflessioni su come convenga ragionare e dubitare e su come dovrebbe porsi uno scienziato-essere umano.

Stamane ho visto la foto dell’ulivo millenario e nei giorni scorsi ho assistito a strane querelle sull’identità, sul “valore della vita”, sul carattere più o meno “italiano” di un posto o di una caffetteria. Eutanasia, africanizzazione (sic) di Piazza del Duomo, Starbucks, le palme…

Un minestrone che va dal sacro al profano e dal tragico al grottesco. Una pletora di opinioni che dicono molto di più sull’identità di chi le esprime che sull’oggetto del contendere.

Qualcosa, nell’ulivo come nel nostro cervello, riesce a ripetere una danza che permette una continuità dell’essere. Qualcosa che persiste e che garantisce la resilienza nonostante gli urti contro il mondo. Qualcosa che permette di andare avanti a sparare cazzate su quanto la nostra identità possa essere minacciata dalle piante africane in piazza duomo e che fa sì che l’ulivo dia ancora frutti.

Un disegno o una danza su cui si può addirittura meditare: si può, ogni tanto, facendo un passo indietro rispetto alle proprie opinioni, osservare cosa si ripete, chiedersi quali nessi contribuiscono a formare le opinioni e chi li crea! Cosa è originale e cosa è copiato senza riflessione? Cosa è mio e cosa fa parte di un’identità più vasta: il “pensiero di tutti”, la tradizione, l’insegnamento?

Cosa rimane nel mio pensiero se tolgo l’adesione a volte inconsapevole al comune sentire? E come funziona la danza, come si svolge?

Sono solo domande e, nonostante i progressi della scienza, le riflessioni della filosofia, o le osservazioni/ipotesi della clinica e delle teorie della mente, le risposte sono molto lontane.

Ma è così che si medita: si accetta di osservare anche dove non c’è risposta e si tiene d’occhio l’osservatore, ci si interroga su chi si sta interrogando, si guarda la danza.

“Senza mai preoccuparci  del fatto che la risposta potrebbe essere deludente, con piacere e fiducia rivoltiamo ogni pietra per scoprire stranezze inimmaginabili che conducono ad altre domande, ad altri affascinanti misteri. È certamente un’avventura grandiosa!” Diceva Feynman.

Olive Tree Museum of Vouves (Greece)

Focus: la natura raccolta della mente

Il vecchio stagno
una rana si tuffa
un suono d’acqua”
Matsuo Basho

La minuscola poesia dell’incipit è un Haiku: un componimento di poche sillabe che coglie una porzione ristretta di realtà focalizzandosi su quel poco che conta per l’autore.

Diceva Hillman in un suo libro del 1967 che: “L’attenzione è la virtù psicologica cardinale, da cui dipendono forse tutte le altre, perché non possono esservi né fede, né speranza, né carità per alcuna cosa se questa non riceve prima attenzione.”

E il focus è il gesto dell’attenzione: il modo in cui ignoriamo il resto e incorniciamo un aspetto, una cosa, un oggetto che diventa specifico perché su di esso abbiamo diretto (o forse perché ha attirato) qualcuno dei nostri sensi. Mettere a fuoco, concentrarsi, stare attenti e protesi verso l’oggetto del nostro interesse modella il mondo escludendo intere parti della realtà che finiscono sullo sfondo rispetto a ciò su cui stiamo.

Spesso l’attenzione vaga e, con la sua danza, ritaglia i soliti spazi, ripete percezioni che diventano abitudine e passano inosservate. Percorriamo interi pezzi di ambiente senza notare la rana che si tuffa nello stagno che è “vecchio” proprio perché quasi non viene visto. A volte un evento è più forte del solito e siamo costretti ad osservare attentamente ma se tutto procede all’interno del conosciuto, se non ci sono sbalzi nel mondo, può capitare che il focus non cambi e che intere parti di realtà quasi si dissolvano: scontate, opache, poco visibili.

Se questa disattenzione è verso l’interno, se è la psiche a non essere guardata, succede che: “la vita interiore diventi scolorita e inconsistente (come lo è il mondo esterno negli stati depressivi)” (Hillman). Continua a leggere

L’indomabile belva

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.”
Saffo

La dolce, amara, indomabile belva in grado di scuotere l’anima e sciogliere le membra ha mobilitato e mobilita una grande quantità di resistenze: difese, perlopiù vane, che tentano di arginare gli influssi del desiderio e di creare una serenità tiepida che riduca gli alti e bassi evitando quelle “pene d’amore” che distraggono da… il lavoro, lo studio, il dovere, i risultati, ecc.

Riflettevo con una collega su quante ore di seduta vengano dedicate ai dolori connessi alla relazione. Pazienti che lamentano amori non corrisposti, abbandoni, tradimenti, storie difficili, idealizzazioni e delusioni. Pasticci in cui Eros ha scagliato le sue frecce senza equità: troppo desiderio da una parte, troppo poco dall’altra; bisogni non soddisfatti, grandi fuochi che si affievoliscono, promesse spese e non mantenute. Tanta sofferenza non direttamente classificabile fra i cosiddetti sintomi psichici o psichiatrici ma, tuttavia, dolore che affligge e che non si può certo liquidare come contingente: qualcosa che passa da solo e di cui è inutile parlare, un sintomo che, siccome non è catalogato fra le patologie del Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali, si può lasciar perdere.

La sofferenza è sofferenza. Nel mio lavoro va ascoltata e compresa e questo tipo di sofferenza in particolare ha svelato ai terapeuti paesaggi della psiche in cui altri sintomi abitano, si formano, covano a lungo prima di manifestarsi. Continua a leggere

Meditazione istantanea

La “meditazione istantanea” (uno dei titoli che apparirà spesso in bacheca) è un selfie interiore: un autoscatto di te stesso immerso in… ciò in cui sei immerso in questo momento. Sei tu che metti a fuoco, che decidi il tempo di esposizione e l’ampiezza del diaframma. Nel Buddismo Zen viene spesso chiamata Koan e consiste in un’affermazione paradossale o in un racconto usato per aiutare la meditazione e per risvegliare una consapevolezza profonda.

Questa è facile e ripetibile, più volte al giorno. Parte dalla famosa proposizione dello scienziato e filosofo, Wittgenstein, e se fosse un Koan sarebbe uno di quelli atti a realizzare l’unità di tutto il reale.

SpiaggiaBacheca3

E, in tutto ciò che accade, la nostra, puntiforme, esperienza; il piccolissimo morso che selezioniamo e tutto quello che succede e a cui rispondiamo e verso cui l’inconscio e il corpo e l’abitudine rispondono… frammenti dell’esistente, percezioni e vaghi sprazzi di “quello che, in questo momento, colgo”. Cosa sente quella piccola parte della pianta del mio piede mentre tocco, calpesto, calco…? Cosa posso sentire e quanto sto attento nell’istante; cosa mi perdo e quanto, poco o tanto, conta?
Stare presente a questo, a come posso ignorarlo, a quanto stringo o allargo il puntino minuscolo dell’attenzione, verso fuori, verso dentro… sulla soglia che sono, qui, ora!