“Facile da vivere la vita
di colui che è senza vergogna,
impudente come la cornacchia”
Dhammapada
Dicevo, nell’ultimo post, che avrei spiegato un passaggio in cui affermo che ci sono persone così sicure della giustezza dei loro legami che trovano naturale attaccare quei rapporti che non assomigliano a quello che, secondo loro, è il modo naturale di amare, prendersi cura, stare insieme. Sostengo in particolare che: “Non notano le somiglianze perché sono immemori e lo sono perché odiano”.
E’ un punto fondamentale e ci tengo a parlarne perché, al di là dell’indignazione con cui mi capita a volte di commentare quelli che considero atteggiamenti poco civili e distruttivi, il virgolettato di cui sopra tratta un argomento cruciale per le relazioni e per la sanità mentale in generale.
La capacità di notare somiglianze è la colonna senza la quale il complesso sistema che ci permette di essere empatici crollerebbe. L’empatia intesa come capacità di sentire insieme all’altro e di provare ciò che lui prova è una funzione senza la quale ogni convivenza sarebbe impossibile. Anche il semplice fare branco ha bisogno della facoltà di riconoscere somiglianze e differenze e non c’è legame in cui non venga, innanzitutto, considerata l’affinità: il desiderio di stare vicini a chi ci assomiglia.
Detto questo… devo spiegare perché a volte mi definisco un discreto sostenitore dell’odio: dicevo nel post a cui vi rimando che senza un po’ di odio non ci svincoleremmo mai da certi legami e in altri articoli ho propugnato il principio in base al quale un terapeuta dovrebbe essere senza memoria e senza desiderio: più interessato a conoscere che a sedurre, più attento a ciò che accade qui e ora che innamorato di ciò che si era costruito nelle sedute precedenti. Empatico, sì, ma fino ad un certo punto! Continua a leggere