“Non vediamo le cose come sono,
vediamo le cose come siamo”
Anaïs Nin
Sulla Mindfulness e su cosa chiedersi prima di iniziare a lavorare sull’attenzione.
Foto di Thomas Breher da Pixabay
“Non vediamo le cose come sono,
vediamo le cose come siamo”
Anaïs Nin
Sulla Mindfulness e su cosa chiedersi prima di iniziare a lavorare sull’attenzione.
Foto di Thomas Breher da Pixabay
Esercizio di rilassamento profondo.
Introduzione all’esercizio di rilassamento profondo.
“ Nel gioco a somma zero dell’invidia,
c’è il mito che, se qualcuno ha qualcosa
di buono l’altro è sminuito”
G.O.Gabbard
Nell’introduzione al suo libro Mente e Natura Gregory Bateson diceva: “Pare che esista una sorta di legge di Gresham dell’evoluzione culturale, secondo la quale le idee ultra-semplificate finiscono sempre con lo spodestare quelle più elaborate, e ciò che è volgare e spregevole finisce sempre con lo spodestare al bellezza. Ciò nonostante la bellezza perdura.”
La legge di Gresham, che era un mercante e banchiere inglese del XVI secolo, afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona. Ai tempi circolavano monete il cui valore nominale era pari al loro contenuto in oro o in altri metalli preziosi e gli operatori di cambio, ma anche i privati cittadini, tendevano a tenere per sé quelle non danneggiate e a mettere in circolazione quelle più usurate o a cui erano state limate via piccole quantità di metallo. Succedeva così che, a lungo andare, le monete che restavano in circolazione avessero un valore intrinseco più basso di quello nominale.
Chi è interessato ad approfondire l’aspetto economico e sociale di questo fenomeno trova qui altri dettagli.
Di banchieri e del loro cuore e di economia e di valori in questi giorni si fa un gran parlare e il fatto che mi sia venuta in mente e che condivida con voi l’affermazione di Bateson sulle idee ultra semplificate e sul pericolo che per la bellezza possono rappresentare, dice un po’ di cosa penso su ciò che sta accadendo. Ma rimango nel mio ambito e credo che il mio compito sia più quello di riflettere su cosa accade nella psiche di tutti noi: cosa accade alla bellezza? Quali forze fanno pendere la bilancia dalla parte della semplificazione? Cosa fa scomparire la bellezza (temporaneamente?) nello sfondo?
Secondo la psicoanalisi l’invidia è un sentimento universale. Nasce o si manifesta molto presto nell’infante che sente di essere esposto e senza risorse in un mondo di adulti che invece, nella visione primitiva che può avere un neonato, sembrano possedere tutto: tutto il cibo, tutto il contenimento e l’affetto di cui lei/lui hanno bisogno. Un cucciolo di homo sapiens nasce incredibilmente prematuro e a differenza dei piccoli di altre specie per anni ha bisogno dell’assistenza dei propri caregiver. Ho letto resoconti di esperimenti piuttosto crudeli che “dimostrano” la reazione di invidia in un bambino molto piccolo sottoposto alla scena di un adulto che dà un dolcetto o un giocattolo ad un suo coetaneo senza controbilanciare con qualcosa anche per lui. Ma, lasciando perdere le dimostrazioni di comportamentisti sadici, credo che ognuno di noi possa trovare nella propria memoria un momento in cui ha provato il morso dell’invidia. Quel sentimento che Melanie Klein definì l’odio per l’oggetto precedentemente erotizzato: quell’insieme di emozioni che accompagnano il senso di vuoto e quella protesta rabbiosa che suona come un “e io? Perché lui sì e io no? Cos’ha lui che io non non ho per meritare il dono, l’oggetto, l’amore…?”
Ce l’avete presente, vero?
L’invidia è un sentimento universale che contiene quelli che la psicologia buddista definisce i tre veleni: l’avidità, l’avversione, l’ignoranza. Credo che sia uno dei sentimenti maggiormente responsabili della scomparsa della bellezza!
Uno dei modi per aiutare una persona a riflettere su un sintomo è quello di chiederle in che modo potrebbe costruirlo. Prendete l’invidia e provate a pensare agli ingredienti che servono per soffrirne. Oppure immaginate una platea che vorreste rendere invidiosa. Vi servirà un pò di avidità: potreste convincerli del bisogno assoluto di qualcosa, della sua irrinunciabilità… Poi dovrete aggiungere dell’avversione ed evidenziare quanto quella cosa che scarseggia è già nelle mani di qualcun’altro o, meglio ancora, quanto qualcuno che manco conoscono potrebbe rubare quel poco di risorsa che scarseggia e di cui loro hanno estremo bisogno. Infine sarà importante condire il tutto con un bel po’ di ignoranza. Per farlo davvero bene sarà importante costruire un modo di pensare che privilegi le idee ultra semplificate, quelle che arrivano direttamente alla pancia della gente: qualcosa che indigni o una bella generalizzazione che divide il mondo in buoni e cattivi, amici e nemici, vittime e carnefici. A quel punto per verificare il livello di invidia raggiunto potrete testarli chiedendo loro quanto è bello o brutto il mondo in cui vivono. Se la bellezza comincia a scomparire potrete vendere una ricetta facile che se applicata alla lettera li aiuterà a far scomparire i nemici, assicurare loro buon accesso alle risorse e farli sentire davvero intelligenti ad avervi dato ascolto.
Se invece dicono che c’è ancora della bellezza in giro e che si potrebbe provare a lavorare con ciò che c’è per evidenziarla e per condividerla, beh, allora dovrete di nuovo insistere sul mito che “se qualcuno ha qualcosa di buono l’altro è sminuito”. Dovrete mettere in circolo un altro bel po’ di avidità, avversione e ignoranza.
Naturalmente potreste anche lavorare per far circolare idee più elaborate. Ma quello è un lavoraccio, chi ve lo fa fare?
“Dovrebbe sempre star socchiusa l’anima”
Emily Dickinson
Secondo l’antica filosofia Cinese la primavera corrisponde al periodo dell’anno dominato dal Tuono: la forza che in questa stagione dà una sorta di scossa alla natura determinando un risveglio, un rimettersi in movimento, un nuovo inizio.
Osservando il cielo, la terra, gli elementi e il susseguirsi delle stagioni i saggi del tempo, un po’ come i primi filosofi greci, cercavano di leggere il mondo e trovare dei principi che aiutassero l’uomo ad armonizzarsi con lo scorrere delle cose.
L’I Ching, il Libro Dei Mutamenti, è insieme al Tao Te Ching uno dei testi fondamentali del pensiero filosofico cinese. In occidente la sua prima diffusione al pubblico è stata resa possibile solo grazie alla traduzione in tedesco di Richard Wilhelm, un missionario che, dopo anni di soggiorno in Cina e dopo aver profondamente assimilato la filosofia neo-confuciana, ci offre un testo leggibile, in grado di trasmettere le profonde idee filosofiche contenute nel libro.
Poi, nel 1950 con la traduzione dal tedesco in Inglese, curata da Baynes e fortemente incoraggiata da C.G. Jung, l’I Ching diventa davvero popolare.
La prefazione di Jung all’edizione Inglese è un vero saggio di Psicologia e un tentativo (molto Junghiano) di far capire come un testo oracolare non sia solo un cumulo di superstizioni ma un modo profondo di parlare alla psiche e di usare certe immagini per permetterci di sopravvivere e di cavarcela in un mondo che non è mai ordinato o, quando lo è, è comunque in movimento verso un nuovo momento di caos, verso un nuovo mutamento.
Ho visto usare l’I Ching in molti modi, alcuni molto stupidi. Io stesso a volte ho preteso di aprirlo per trovare una risposta in un momento d’ansia come se stessi interrogando una qualche entità superiore ma senza aver nemmeno posto una vera domanda, senza essermi prima davvero chiesto “cosa cerco?”.
Il mutamento a cui il termine I (o Yi) di I Ching si riferisce “… non è l’ordinato avvicendarsi delle stagioni o la crescita di un organismo o i cambiamenti che avvengono in una persona con il passare del tempo”. Per quel tipo di cambiamenti nessun oracolo andrebbe scomodato perché possono essere visti come un naturale progredire: “quando negli anni, mesi e giorni, la stagione non ha yi, i cereali maturano in abbondanza, il governo è illuminato, le persone di talento occupano posti di responsabilità e la casa è in pace e prospera.” Ma non sempre (o quasi mai) è così: “quando negli anni, mesi e giorni la stagione ha yi, i cereali non maturano in abbondanza, il governo è inefficiente e corrotto, le persone di talento sono relegate in posizioni marginali e la casa non è in pace.” (The Book of Documents, Stoccolma 1950)
Lo yi corrisponde insomma al movimento caotico, al precipitare delle cose al tuono che scuote ma non in modo armonico come dovrebbe succedere in questa stagione, o all’acqua che invece di scorrere e fluire scroscia e travolge. “Stagione” sta per momento con una certa qualità, periodo caratterizzato da un particolare movimento. Ciò che l’I Ching tenta è una descrizione del momento e allo stesso tempo la creazione di una cornice che permetta a chi chiede di riflettere e di sintonizzarsi. I e yi indicano il movimento caotico ma anche l’atteggiamento necessario ad affrontarlo. Possono essere tradotti con il termine versatilità e l’I Ching è il Libro della Versatilità.
Sarebbe bello se in questo tremendo momento, in questa folle stagione, solo il tuono che spinge le cose a germogliare fosse all’opera. Non occorrerebbero particolari oracoli se non quelli che ognuno di noi potrebbe interrogare per le piccole cose o per i drammi personali che comunque possono scuotere le nostre vite. Ma c’è un caos ben più vasto in cui siamo immersi.
Riflettevo in questi giorni sulla fortuna mia e di tante persone che conosco che, pur con i nostri dolori personali e con le dissonanze che accompagnano la vita di ognuno di noi, possiamo fermarci a riflettere sui nostri guai. E riflettevo sul rimbombo che qua è per ora e per fortuna solo inquietudine e sottofondo; su quanto sia in grado di perturbare la psiche di noi che tutto sommato siamo ai margini della tragedia e fuori dal temporale. A quanto intollerabile caos sono sottoposte persone come noi che si ritrovano in un mondo di colpo inospitale e pericoloso? Quanta versatilità è chiesta a chi deve affrontare un simile dramma?
Certe cose sono difficili anche da pensare e si sentono così tanti giudizi sparati con malcelata presunzione e con la pretesa di sapere cosa andrebbe fatto. Credo che, qua, ai margini del temporale e per il momento al sicuro ci sia spazio per chiederci cosa dovremmo chiederci. La versatilità, per chi può permettersela, è la capacità di soffermarsi a percepire il mondo e pensare a fondo prima di agire considerando il contesto e la quantità di ordine e di caos presenti nel sistema in cui si è immersi. Chi deve scappare o attaccare o stare immobile e nascosto non può permettersi questo lusso.
Noi ancora sì! Cosa dobbiamo chiederci?
Una delle caratteristiche che più contraddistingue le personalità antisociali è proprio la mancanza di versatilità: sono sempre pronti a rispondere e si pongono pochissime domande, sembrano molto sicuri e si comportano come se lo fossero perché credono che il mondo sia leggibile e facile da dominare.
Noi che possiamo permettercelo dovremmo coltivare l’opposto.
“La prima regola è non ingannarti
e tu sei la persona più facile da ingannare”
R. P. Feynman
Chi controlla il comportamento? Come usiamo l’attenzione?
“L’intelligenza non è ciò che si sa, ma ciò che si fa quando non lo si sa”
Jean Piaget
Al bivio fra realtà e piacere da che parte andreste e perché?
“Il mondo non chiede che si creda in esso;
chiede che ci si accorga di esso, che lo si
apprezzi e che si abbia per esso attenzione e cura”
James Hillman
Mi imbatto in molte tempeste mentre svolgo il mio lavoro. Ci sono le intemperie in cui i pazienti incappano: le avversità della vita, i dolori e le offese che costellano i rapporti umani, i lutti, gli abbandoni… E ci sono le tempeste interne: i disturbi, i sintomi, gli scompensi della psiche e della chimica del cervello, quelli per cui, a fianco della psicoterapia, occorre a volte aggiungere un farmaco. Provo con loro a costruire un rifugio, a trovare uno spazio che sia un riparo dal mondo quando è troppo ostile o dall’interno quando l’ordine diventa disordine e la mente sembra “lavorare contro”.
Poco più di un mese fa ho scattato questa foto:
Raffigura Dioniso tenuto in braccio da Sileno, un personaggio della mitologia greca a cui, si narra, Hermes diede in custodia il giovane dio.
La statua è una copia Romana del secondo secolo di un originale greco di Lisippo di circa 500 anni prima. Ciò che mi ha colpito, oltre alla bellezza dell’opera, sono la tenerezza dell’abbraccio e dello sguardo, l’attenzione che il satiro pone nel gesto e la prossimità tra le figure, la vicinanza più che fisica tra due archetipi: il vecchio selvatico e il bambino/dio.
Dioniso è davvero uno strano dio. In lui sono presenti innumerevoli contraddizioni: è maschile e femminile allo stesso tempo, può generare ebbrezza e liberare i sensi ed è così pieno di energia da essere collegato al principio che fa scorrere la linfa negli alberi; è comico e tragico, caotico e portatore di un ordine diverso.
In questa statua se ne sta in braccio a Sileno che rappresenta un po’ il suo terzo grembo. Il piccolo Dioniso è passato attraverso più di una tempesta: la madre biologica, Semele, ha la sfortuna di accoppiarsi con Zeus e di rivederlo in tutta la sua potenza quando la gravidanza è al sesto mese, non sopportando l’esposizione al dio muore e Zeus decide di portare avanti la gestazione facendosi impiantare il feto in una coscia. Al parto il padre degli dei lo chiama Dioniso che significa nato due volte o il bambino della doppia porta.
Proprio come certi pazienti Dioniso è sopravvissuto alla tempesta ed egli stesso è una tempesta. Incontenibile. Come un istinto, una pulsione, un vizio. Come una passione, come una mania. O come la palude della depressione in cui può finire chi rischia di soccombere di fronte alle difficoltà o chi prova come lui a curarsi con una delle tante droghe che promettono un sollievo. Incontenibile finché non trova rifugio dalla tempesta.
Proprio come Dioniso i pazienti (e chi non lo è o non lo è stato) hanno bisogno di più di una nascita. È più somigliano a Dioniso, più sono “portatori di tempesta”, di disordine e di profonda e caotica energia più chi prova ad accoglierli deve chiedersi cosa dà rifugio? Come si fa a darlo quando la tempesta è più dentro che fuori? Basta essere accoglienti?
Ci sono varie teorie. Varie ipotesi su come sia meglio aiutare chi soffre per qualcosa che lo pervade e che non sa controllare. Visioni del mondo che passano dal “all you need is love” alla camicia di forza, idee di contenimento che ragionano sul setting: quante volte alla settimana Dioniso può accettare di sedersi di fronte ad un terapeuta? Basta la stanza di seduta o serve una struttura, una comunità, un reparto?
Ogni caso è a sé e con ogni persona si può riflettere su come si possa contenere l’incontenibile.
La statua dell’immagine è stata più volte restaurata. In 2500 anni sono andate perse le dita di Sileno, i nasi, una coscia… ma, proprio come la Nave di Teseo, nonostante le perdite e le aggiunte, nonostante gli insulti del tempo i passaggi da un luogo ad un altro, l’anima dell’opera è rimasta.
Guardate come Sileno, non esattamente un dio, più una forza della natura, forse un figlio di Pan, più selvatico che domestico, uno a cui non credo vorremmo dare un figlio da accudire, guarda il bambino.
Lo sguardo è rimasto intatto nel tempo ed è ciò che la statua comunica. Credo che tutti cerchiamo uno sguardo così! È quando lo troviamo e quando riusciamo a darlo che la tempesta almeno un po’ si placa!
“La saggezza è filosofia discesa nelle viscere”
Seneca
Si può subire un’emozione o si può stare con essa. Si possono modificare degli stati di coscienza? Si può superare la paura?
“La mente non perplessa non si adopera.
Il torrente ostacolato è quello che canta”
Warren Berry
Ecco la seconda parte…