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Alessitimia: tu chiamale (se puoi) emozioni

Tutte le cose sono piene di déi”
Talete di Mileto

In un recente articolo intitolato “Perché l’anestesia dei sentimenti è un rischio della nostra civiltà” Massimo Recalcati parla di alessitimia: un disturbo che questo autore definisce come “un congelamento affettivo della vita umana”. Vi basta cliccare sul titolo per leggere l’acuta riflessione di Recalcati che a me serve qui come spunto per un’amplificazione sul dentro e sul fuori e su quel confine del tutto arbitrario che noi tutti siamo abituati a mettere: la demarcazione fra esterno e intimo e fra profondo e superficiale.

Il termine alessitimia significa, letteralmente, non avere le parole per le emozioni e si riferisce all’incapacità di certi individui di riconoscere e di descrivere i propri stati emotivi e quelli degli altri.

Non si può dire che un alessitimico non provi emozioni ma piuttosto che, non riconoscendole, sperimenti qualcosa di confuso, una sensazione più simile ad un dolore fisico che ad uno stato d’animo.

Quando identifichiamo ciò che stiamo provando, quando diamo un nome a qualcosa che accade dentro riuscendo a distinguere la rabbia dalla paura o dal disgusto, compiamo un gesto che serve a contenere e, in un certo senso, a possedere invece di essere posseduti: se so di che emozione si tratta posso agirla, posso provare a trattenerla o posso trovare un antidoto che sia adatto a stemperarla o a ritardarne gli effetti. Continua a leggere

Sull’ironia: viaggiare leggeri

Come la melanconia è la tristezza diventata leggera,
così lo humor è il comico che ha perso la pesantezza
corporea e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete
di relazioni che li costituiscono.”
I.Calvino

Risponderò in questo post ad una serie di domande che mi sono state fatte dopo la pubblicazione dell’ultimo “Sull’ironia”, e lo farò prendendo spunto da un tweet di Gallizio, di oggi, che dice che “per far comprendere un concetto, per trasmettere un’idea a un bambino non serve semplificare, serve arricchire”.

Non perché creda di scrivere per dei bambini ma per “il fatto” che son convinto che anche gli adulti, adulterati, scafati, e disillusi, hanno/abbiamo bisogno di amplificare e di arricchire e di guardare da almeno (almeno) due punti di vista per non cadere nel letteralismo e nella monotonia della visione unica.

Diceva Calvino in Lezioni Americane, parlando di Kundera e del suo L’insostenibile leggerezza dell’essere, che: “Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.”

Mentre descrivono, certi romanzi e certi saggi sembrano alleggerire: sembrano compiere una sorta di gesto contro natura. Come se potessero ringiovanire le cose mentre il tempo passa o semplificarcele mentre diventano più complesse o renderle belle e avvincenti anche nel dolore e nella fatica.

Ciò su cui ho insistito nell’ultimo post, ciò che mi preme evidenziare anche come psicoterapeuta, è proprio questa capacità che abbiamo di sciogliere o coagulare, alleggerire o appesantire un evento.

Chagall La passeggiata

Chagall La passeggiata

Ci sono, credo, due tipi di ironia. C’è un’ironia inclusiva che chiude il mondo in una descrizione cinica e disillusa che include, appunto, appiattendo ciò che osserva e catalogandolo come un “già visto, già provato, niente di nuovo, niente da imparare”. E c’è un’ironia aperta che guarda oltre e che, alleggerendo, solleva un velo e fa vedere altro: mette in ridicolo, magari, ma non tanto per zavorrare e sminuire quanto per rendere volatile e, quindi, meno solido, in evoluzione, che può cambiare. Continua a leggere

Sull’ironia

“Hic sunt leones”

Si dice che i cartografi degli antichi romani, quando redigevano le mappe dei territori appena conquistati, ponessero oltre al limite di ciò che era stato esplorato le tre lettere HSL (hic sunt leones) a significare che oltre quel punto non si sapeva cosa ci fosse ma si supponeva ci fossero i “leoni”.

Niente di buono, insomma, oltre ai territori esplorati, niente di familiare, solo qualcosa verso cui procedere con cautela. Essere cauti e diffidenti verso il diverso, conservatori e non troppo entusiasti nei confronti di ciò che non è ben provato o che, comunque, potrebbe mordere.

Stare dentro la mappa! Sembra un motto ed è stato ed è, spesso, l’atteggiamento che adottiamo non appena ci troviamo di fronte a qualcosa che “ci puzza” o che mette in discussione i nostri confini.

E’ un modo di mettersi: una postura psichica e una presa sulla realtà. E serve! E’ utile per non farsi prendere in giro, per non abboccare all’amo di ogni nuova tendenza, per non disperderci nell’opinione degli altri e per conservare alcune delle nostre convinzioni che, altrimenti, verrebbero sempre poste in discussione. Non ci piace camminare sulle uova e, una volta che troviamo terreno solido su cui poggiare i piedi, ci attiviamo per conservarlo così com’è. Continua a leggere