
Hieronymus Bosch, Giudizio finale, frammento dell’Inferno
“Era come uno di quegli incubi sugli esami,
tu sei preparato perfettamente,
poi arrivi là e tutte le domande d’esame sono in hindi”
Infinite Jest
Negli incubi il mondo è inospitale. Quando un sogno diventa così brutto da costringere il dormiente a svegliarsi significa che qualcosa in quel complicato processo digestivo che è il sognare è andato storto: la storia si ingarbuglia e diventa incomprensibile o spaventosa, l’atmosfera si incupisce, arriva l’angoscia che, dopo un po’, ci spinge fuori dal sonno.
Osservando questa sorta di fallimento della fantasia viene da chiedersi chi ci fosse alla regia in quel momento: chi sia stato lo sceneggiatore sadico che ha preparato un copione in cui “… tu sei perfettamente preparato, poi arrivi là e tutte le domande d’esame sono in hindi”. Chi ha reso minaccioso il sogno? Chi ha aggiunto la tensione e ha alimentato la paura? E perché non ha virato verso un lieto fine permettendoci di concludere in bellezza e continuare a dormire?
In psicologia con il termine Proiezione ci si riferisce a un meccanismo di difesa che consiste nello spostare sentimenti o caratteristiche propri o parti di sé su altri oggetti o persone. Non è che lo si faccia consapevolmente. Come tutti i meccanismi di difesa è un gesto antico che serve a “pattugliare i confini”, un processo che aiuta a portare avanti la comoda illusione di separatezza: “io sono qua dentro e là fuori c’è il resto del mondo; vicino a me i miei alleati, ciò che mi somiglia ed è familiare e, più lontano, ciò che è alieno e minaccioso”. Proiettando metto fuori di me cose che mi appartengono e, visto che succede automaticamente, se metto fuori solo bellezza e bontà divento un po’ una Pollyanna ottusamente ottimista, mentre se ciò che inavvertitamente “evacuo” è brutto, pericoloso o terribile, mi ritroverò in un mondo infernale e perseguitante da cui dovrò difendermi e in cui dovrò stare sempre allerta.
Due estremi patologici: l’ottimista dormiente e il paranoico insonne. Per dormire e per sognare è molto meglio il primo mentre se si lavora nei servizi segreti una certa dose di paranoia può tornare utile.
Nel mezzo, nel normale stato di veglia, conviene ricordarsi che: “Il mondo che troviamo all’esterno di noi è, almeno in parte, il ricettacolo del terrore che abbiamo dentro di noi, un al-trove per quei desideri e quegli oggetti che recano dispiacere. Allo stesso tempo, quel mondo che costruiamo all’esterno è il mondo da cui abbiamo bisogno di allontanarci. È il luogo, o uno dei luoghi, dove collochiamo gli oggetti e i desideri che vorremmo non ci appartenessero. Per sentirci a casa nel mondo abbiamo bisogno di renderlo inospitale.” (Adam Phillips)
Una buona storia ha bisogno di un cattivo e un buon sogno è fatto anche di ostacoli da superare, di strane idee ed espedienti per andare oltre. Un mondo solo ospitale non esiste e se esistesse sarebbe noiosissimo. Ma cosa stiamo proiettando? Quanti dei mostri che popolano il nostro mondo sono sovrapposizioni, vecchie paure che sfuggono dal profondo della mente e si annidano in inconsapevoli copioni?
Cosa aggiungiamo alla realtà che la rende a volte simile a un sogno e altre volte ad un incubo? E chi scrive le domande d’esame in hindi?