“Gli innamorati non si grattano”
R. Birdwhistell
La Cinesica è lo studio dei caratteri individuali attraverso i movimenti caratteristici del corpo. Il termine fu ideato dall’antropologo Ray Birdwhistell negli anni ‘50 del secolo scorso. Di lui si racconta che sapesse individuare la lingua usata da un soggetto semplicemente osservandone i gesti.
La frase dell’incipit è tratta da un suo intervento in una discussione tenuta all’Università di Princeton a cui parteciparono illustri scienziati di diversi campi (tra loro Gregory Bateson e Margaret Mead). L’obiettivo della discussione era quello di definire in modo approfondito il concetto di gioco.
Dice Birdwhistell: “Nelle ricerche di cinesica adoperiamo un proverbio: ‘gli innamorati non si grattano’. Una delle cose che (nelle nostre osservazioni sul campo) ci colpirono immediatamente fu che non si grattano mai né gli innamorati nel parco, né una mamma e un bambino che si stanno divertendo insieme. Negli esseri umani c’è un’irritazione della pelle, legata alla situazione; per esempio nella comunicazione, quando gli interlocutori stanno negando una comunicazione o se una persona pensa ‘sto mentendo’, osserverete che si gratta il naso o noterete qualche altra attività che indica prurito.”
Durante un dialogo tra persone il messaggio è composto: dalle parole che vengono dette (la componente verbale), dal tono, timbro e ritmo del discorso (la componente vocale), dalla postura, i gesti, la mimica facciale, la distanza tra corpi (la componente non-verbale). Quest’ultima corrisponde a circa il 55% del messaggio e, gran parte di essa è “non voluta”. Non stiamo troppo a pensare a cosa fa il nostro corpo mentre siamo impegnati in uno scambio comunicativo: il corpo agisce la comunicazione, si prende lo spazio e… sperimenta una certa quantità di stress dovuto a quanta resistenza trova dall’altra parte (nell’interlocutore), quanto è “difficile/scottante/leggero” l’argomento, quale è lo scopo dello scambio (sedurre, vincere un round, impressionare, ascoltare attentamente ecc.).
Ogni comunicazione (anche certi silenzi che dicono e agiscono molto) contiene una certa quantità di stress a cui il corpo reagisce seguendo una regola implicita che, all’incirca recita così: “non lasciare che la sensazione sgradevole connessa a questo stimolo superi una certa soglia, sappi che la puoi sopportare per un po’ ma che, se dura troppo, diventa faticosa da reggere, provvedi ad alleviarla o dovrai combattere lo stimolo (Fight), o allontanarti/fuggire (Flee), o fingerti morto (Freeze)”. Prima di ricorrere ad una delle tre F di cui sopra ci sono una quantità di strategie che il corpo di chi è impegnato in uno scambio comunicativo può mettere in atto per abbassare lo stress. Tra queste il tentativo di eliminare una certa irritazione grattandosi.
Sembra che per gli innamorati e per la diade mamma-bambino impegnata nel gioco la tolleranza allo stress sia diversa da quella di altri soggetti osservati e non perché l’attività in cui sono immersi sia in sé meno stressante di altre. Sia la relazione di una madre con il suo cucciolo che quella tra due persone che si amano implicano un grande coinvolgimento emotivo e una buona dose d’ansia: entrambi i rapporti coinvolgono profondamente i soggetti che vi partecipano che sono consapevoli dei premi e delle punizioni connessi al successo o al fallimento della relazione.
Eppure c’è un qualcosa che fa sì che lo stress presente nella relazione venga non solo sopportato meglio ma addirittura cercato. Uno dei fattori che più modifica la percezione della tensione, della fatica, dell’equilibrio precario e del rischio della relazione è la cosiddetta cornice del gioco: l’immersione in un contesto condiviso in cui si sa che si fa sul serio ma anche che si sta giocando.
Una piccola paziente in seduta con lo psicanalista Adam Phillips, descrivendo una situazione di gioco con la madre, diceva: “Quando giochiamo coi mostri e la mamma mi cattura, non mi uccide mai, mi fa solo il solletico”. È una descrizione perfetta di cosa sia il fare-come-se: il bambino per divertirsi deve credere che essere catturato sia spaventoso ma deve anche poter sentire che il legame è sicuro e che, quindi, la punizione sarà il solletico: un “prurito piacevole”, una tortura innocua.
Non con tutti i genitori questa cornice rassicurante si viene a creare e non in tutte le relazioni amorose si riesce a giocare senza farsi male. Ci sono rapporti in cui il possesso e la gerarchia diventano più importanti della reciprocità. In questi rapporti la capacità di giocare viene come amputata e lo stress della relazione diventa pericoloso.
Una madre depressa o un partner geloso e possessivo agiscono, spesso inconsapevolmente, un sabotaggio della cornice, un disturbo che, come un prurito, toglie energia e rovina il gioco.
Pensate all’ansia che può provare un bambino che sente che la madre o il padre diventano distanti o minacciosi o ambigui (come negli abusi) o allo stress che si genera in una coppia quando uno dei due attori cerca di imporre all’altro il proprio volere.
Le rassicurazioni del legame così come gli attacchi al legame sono quasi sempre dei metamessaggi. Più che dire a una persona che le vogliamo bene o che la detestiamo compiamo una serie di gesti che intendono quella cosa: creiamo o togliamo il contatto visivo, ci avviciniamo o ci allontaniamo più o meno bruscamente o delicatamente, teniamo conto intuitivamente dello stress che c’è nella relazione e agiamo per abbassarlo o per aumentarlo. Se la relazione è buona questo lavoro sulla tensione diventa una danza condivisa, una sintonizzazione come quella che si verifica tra due innamorati o in un gioco tra adulto e bambino.
La cornice fa la differenza. Quando stiamo giocando entriamo in uno scenario che ha come sfondo la consapevolezza che ciò che si sta facendo contiene tante cose tra cui, sicuramente: il corpo dei giocatori, l’ansia della sfida, la relazione che, nel gioco, viene messa alla prova e che dal gioco deve uscire temprata.
Volendola mettere in termini clinici, credo che possiamo dire che il gioco è uno stato di coscienza in cui gli attori sono uno di fronte all’altro ma, nello stesso tempo, sanno di essere affiancati. La relazione viene sia sfidata che rassicurata e… appresa.
L’ansia in questo scenario non è che un ingrediente necessario che si trasforma da stimolo nocivo in piacevole eccitazione. Gli innamorati non si grattano.