Category Archives: Pandemonio

Dal Labirinto a Forme Vitali

Da oggi Cronache del Labirinto trasloca e si trasforma in Forme Vitali, un nuovo sito che contiene tutti i post finora pubblicati, a cui ho aggiunto altre sezioni e che si arricchirà, strada facendo, di nuovi contenuti, collaborazioni, ecc.

Le Forme Vitali sono una delle mie passioni e al contempo uno degli strumenti e delle metafore che più uso nella pratica clinica. Sono infatti convinto che rendere consapevoli il modo in cui moduliamo la nostra forza vitale e le forme quasi fisiche che diamo ai nostri pensieri sia uno dei fattori terapeutici fondamentali.

Chi riceveva le mail dei post da Cronache del Labirinto le riceverà dal nuovo sito e anche i tweet di drdedalo e i link su facebook vi porteranno a Forme Vitali.

A presto, vostro drdedalo.

Tracce…

In una conferenza in memoria di una sua famosa collega G. Bateson, parlando di diagnosi psicologica e di interazione fra esseri umani e dell’impossibilità di capire alcunché su di una persona se non entrando in relazione con lei, disse: “Riusciamo a dire che tipo di persona ci sta di fronte solo combinando l’osservazione delle sue abitudini comunicative con l’osservazione introspettiva del tipo di persona che siamo noi stessi quando abbiamo a che fare con l’altro.”

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Ripetere, ricordare, dimenticare

Gli analfabeti del futuro sono quelli che non sapranno
dimenticare quello che hanno imparato per reimparare”
M. Zamperini

Nel suo “The pleasure of finding things out” il fisico Richard Feyman, parlando del senso della vita, scrive: “Nel corso dei tempi gli uomini hanno tentato di afferrare il significato della vita. Si è capito, infatti, che se una qualche direzione o un qualche significato può essere attribuito alle nostre azioni, questa attribuzione è in grado di liberare grandi potenziali umani. Penso che saranno quindi state date molte risposte alla domanda che chiedeva il senso di tutto questo. Ma ne sono state dette di tutti i colori e chi proponeva una certa risposta ha guardato con orrore alle azioni di altri che ne proponevano un’altra. Un orrore dettato dal fatto che, guardando da un punto di vista diverso, sembrava che tutte le potenzialità della razza umana venissero, con quella visione, incanalate in un falso e fuorviante vicolo cieco. Infatti, è dalla storia delle enormi mostruosità create dai falsi credo che i filosofi si sono resi conto delle apparentemente infinite e stupefacenti capacità degli esseri umani. Il sogno rimane quello di trovare un canale aperto (NdT: libero da queste contraddizioni).
Quindi, qual è il significato di tutto questo? Cosa possiamo dire per svelare il mistero dell’esistenza? Se prendiamo in considerazione tutto, non solo ciò che gli antichi conoscevano, ma tutto ciò che conosciamo noi oggi, penso che dobbiamo francamente ammettere che non lo sappiamo. Ma ammettendolo abbiamo probabilmente trovato il canale aperto.”

In psicologia e nella clinica in particolare questo canale aperto è quella posizione che ci permette di lasciare in sospeso la risposta: quello stato relazionale nel quale possiamo prenderci il lusso di dimenticare ciò che sappiamo, di prescindere per un po’ dalle nostre risposte per ascoltare l’altro.

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Attenzione: liberamente fluttuante

“… il cambiamento può essere un atto di volontà
o un flusso, ma l’atto di volontà è più complicato”
Mafe

Parlare di attenzione è parlare della più fondamentale delle attività psichiche: senza l’attenzione non ci sarebbe il linguaggio, non sarebbero possibili i pensieri, i sogni, la “percezione della realtà”.

E’ modulando la quantità di attenzione che rivolgiamo ad un qualsiasi oggetto, fisico o mentale, reale o immaginario, è indugiando su di esso, scrutandolo, osservandolo, assaggiandolo, studiandolo, che possiamo portarlo dentro, e illuminarlo, renderlo più o meno interessante, vivido, familiare, caro.

E l’attenzione, come tutte le funzioni fondamentali, tende a restarsene sullo sfondo, ignorata e usata quasi automaticamente come uno strumento così scontato che, come un braccio, una gamba o un occhio, non ha bisogno di niente a meno che si guasti, si deteriori o smetta di funzionare.

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Sulla felicità: incentivi

“E’ più vasto del cielo – il cervello –
prova a metterli accanto
e l’uno l’altro conterrà sicuro –
e inoltre – anche te”
Emily Dickinson

Nel racconto “Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta” David Foster Wallace fa una sorta di descrizione della depressione del protagonista.
Ne parla come di una sensazione totale, qualcosa che coinvolge tutto l’organismo, tutta la mente e tutta la vita di chi ne soffre.
L’autore ne sapeva qualcosa del male oscuro avendone sofferto fin da ragazzo e il racconto è, in larga misura, autobiografico.

Inizia così: “Prendo gli antidepressivi da, quanto sarà, un anno, e ritengo di avere i numeri per dire come sono. Sono straordinari, davvero, ma sono straordinari come sarebbe straordinario vivere, che so, su un altro pianeta caldo e comodo, fornito di cibo e acqua fresca: sarebbe straordinario, ma non sarebbe la cara vecchia Terra.”

Scollegarsi, smetterla di essere invischiati in uno stato d’animo, allontanarsi dal proprio sentire e attutire, a volte fino ad anestetizzarlo, il dolore, sono modi per sopravvivere, strategie per andare avanti nella vita, per continuare ad essere efficienti e per non sprofondare in certi abissi del sentire che in casi estremi, come quelli di chi soffre di Depressione Maggiore, possono portare a non voler più vivere, a voler porre fine alla pena di un’esistenza pervasa dalla sofferenza.

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Forme Vitali e… ciò in cui sono immerse

“La libertà di essere tutti sovrani dei nostri minuscoli
regni 
formato cranio, soli al centro del creato”
D.Foster Wallace

Questo post è a suo agio nella categoria pandemonio. È infatti un ibrido, anche nel senso etimologico del termine. Hybris, da cui ibrido deriva, sta per forza tracotante, atto di sfida e di arroganza, qualcosa che ha la pretesa di essere nuovo e che non dovrebbe stare al mondo ma, “creato dall’uomo” con un gesto di auto determinismo e di forza, esiste come esistono certi animali mitici frutto di incroci impossibili e forzati.

La sua tracotanza sta nella pretesa di mettere l’accento su cose che tutti sanno e di presentare il banale come qualcosa su cui riflettere profondamente…. e di pensare che la riflessione profonda possa cambiare qualcosa, renderci diversi, un po’ meno troppo umani.

Inizio, presuntuosamente, con una storiella che David Foster Wallace raccontò nel 2005, all’inizio del suo discorso ai laureandi del Kenyon College.
“Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce più anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: ‘Salve, ragazzi, com’è l’acqua?’ I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: ‘Che cavolo è l’acqua?’ “.

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Mindfulness: i filtri e le cose

“Quando guarda la primula il poeta apprende qualcosa di sé creatore.
Il suo orgoglio è accresciuto vedendosi nell’atto di dare un contributo
ai vasti processi di cui la primula è un esempio”

G. Bateson

Praticando la mindfulness: decidendo di prendere quella posizione in cui il flusso delle cose e “del mondo” subisce meno le interferenze di ciò che già sappiamo, capita di rendersi conto di quanto “la realtà” sia continuamente filtrata da un processo che è sempre all’opera dentro di noi e che coglie certe cose per lasciarne perdere altre.

In un breve saggio del 1974 intitolato “La Creatura e le sue creazioni”, Gregory Bateson, prendendo come esempio uno dei possibili soggetti dell’esperienza dice : “Il poeta si vede separato dalle <<cose come sono>>. Infatti c’è un oggetto su cui l’organismo (in questo caso il poeta) non può dire nulla e, nel suo poemetto, questo oggetto è chiamato <<le cose come sono>>. Forse questa cosa, questo oggetto ineffabile, è solo una finzione.”.

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Mindfulness

” Non attraverso le azioni, non attraverso le parole, ci rendiamo liberi dalle contaminazioni mentali, ma osservandole e riconoscendole in continuazione”
Anguttara Nikaya, 557-477 a.C.

Pensare è molto spesso agire e reagire: “questa cosa che hai fatto mi ha fatto pensare che…, ho fatto così perché ho pensato che tu pensassi…, per forza mi comporto così, lui non capisce che finché non capirà che io non sopporto che…”, questi e mille altri ragionamenti portano ad una serie di conclusioni e di azioni che innescano delle catene di gesti, di risposte emotive, di lunghe elaborazioni mentali e di conseguenti azioni, atteggiamenti, prese di posizione.

Siamo così abituati a considerare che all’interno di una relazione, di un rapporto o anche di un semplice scambio comunicativo fra esseri umani, occorra rispondere con delle azioni ai “cenni che l’altro dà” che, spesso, non ci passa nemmeno per la testa la possibilità di non fare niente: assaporare, invece, il gesto; cogliere l’azione per quello che è; sospendere il giudizio e l’azione di risposta e ascoltare con attenzione, lasciare che ciò che viene detto o fatto abbia il tempo di impressionarci.

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Sull’integrazione: tenere a mente la complessità

“Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente”
Wislawa Szymborska

Assisto ogni giorno allo “stiracchiamento della realtà” in mappe preesistenti e all’ostinata applicazione di vecchi modi di leggere che, applicati ad un mondo che se ne stesse fermo, funzionerebbero, ma in un sistema continuamente perturbato falliscono, come previsioni del futuro fatte leggendo i fondi del caffè o intuizioni sul mercato dei titoli fatte con la mente di un broker cocainomane.

Assisto a tutto questo senza esserne esente : faccio lo Psicoterapeuta e non guardo alla realtà partendo da uno sguardo superiore che, da una torre d’avorio, la osserva con fredda lucidità.
Sono immerso con i miei pazienti nelle loro visioni del mondo e l’unico “vantaggio” è quello di poter guardare con un po’ di distanza, sapendo che ciò che diremo sarà necessariamente soggettivo, di parte, autoreferente.

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Scale verso il cielo

Mi è capitato stamane di guardare il video di una cover di una celeberrima canzone dei Led Zeppelin “Stairway to heaven”.
Credo che ognuno di voi l’abbia ascoltata e so che è considerata una delle migliori canzoni rock mai scritte.
Il testo, criptico per molti versi, e assolutamente in linea con il periodo in cui fu scritto (era il 1971), evoca nello stesso modo in cui potrebbe farlo una poesia ermetica, un insieme di emozioni connesse al desiderio di trascendere, andare oltre, superarsi e, in qualche modo, trasformarsi.
Mi sembra perfetto, insieme alla musica, come un augurio di fine e di inizio anno.

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