Broken Hallelujah

“C’è una crepa in ogni cosa. È così che entra la luce”
Leonard Cohen 

Foto di Harry Smith da Pexels

Se dovessi dedicare una canzone al 2020 che pezzo sceglieresti? Lo chiedeva non ricordo chi recentemente su Twitter. Non ho dovuto pensarci molto perché da giorni pensando a questo assurdo, per certi versi terribile e di certo insolito anno, mi viene in mente l’“Hallelujah” di Leonard Cohen. È una canzone del 1984. Ai tempi, non si poteva semplicemente googlare “lyrics…” per trovare il testo di un brano e ricordo i miei sforzi per capire cosa Cohen dicesse e per dare un senso a ciò che sentivo e che, anche  se non del tutto capito, toccava in me corde profonde. Ora è facile leggere ogni strofa e trovare anche molte di quelle che l’autore ha scritto ma non ha messo nella maggior parte delle versioni. E c’è un suo commento che dice molto sul significato di questa canzone: 

«Questo mondo è pieno di conflitti e pieno di cose che non possono essere unite ma ci sono momenti nei quali possiamo trascendere il sistema dualistico e riunirci e abbracciare tutto il disordine, questo è quello che io intendo per alleluia. La canzone spiega che diversi tipi di alleluia esistono, e tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale, ma con entusiasmo, con emozione. So che c’è un occhio che ci sta guardando tutti. C’è un giudizio che valuta ogni cosa che facciamo.»

Le alleluia perfette e quelle infrante (broken)! Ecco: credo che “infranto/spezzato/ rotto” siano ottimi aggettivi per l’anno che sta finendo.

C’è sicuramente una crepa nel 2020 e non c’è nessun bisogno di spiegarla. Anzi, è stata spiegata fin troppo! Ho letto fiumi di parole e di commenti sui morti, sul vaccino, sul virus, sui “numeri”, ecc. Visti con gli occhi di uno che fa lo psicologo la maggior parte di queste opinioni e di questi giudizi non sono che una difesa: un modo per non guardare la crepa, un espediente comprensibile e a volte molto stupido per evitare l’angoscia. Davvero troppi giudizi. Affrettati e reattivi, non pensati, inconsistenti. Dice giusto Mafe de Baggis nel suo ultimo libro: “Il giudizio è il veleno che uccide la creatività. È un diserbante, un acido, una tossina. Avere una parola cattiva per tutti (gli altri) e tutto è il malcostume contemporaneo che, in cambio di una risata facile e di un senso di superiorità volatile, ci sottrae idee, soluzioni e un futuro migliore.”  E sottrarci idee, soluzioni e un futuro migliore è proprio ciò di cui non abbiamo bisogno. 

L’occhio che ci guarda tutti di cui parla Cohen, il giudizio che valuta ogni cosa che facciamo, non è un dio astratto e lontano che ci punirà o ci premierà. È, invece, la nostra capacità di cercare un senso e un rimedio, di sospendere il giudizio superficiale per giungere a una visione intelligente: quella che vede la crepa ma anche la luce che da essa entra.  

Non occorre credere che l’occhio che ci guarda sia esterno per sentire l’Imperativo Etico, quello che Heinz von Foerster definì come l’intento e la determinazione di agire sempre in modo da aumentare il numero delle possibilità. 

Quando state per sparare il prossimo giudizio (lo facciamo tutti in automatico, più volte al giorno), chiedetevi quanto quella sentenza allarga il numero delle possibilità. Apre verso qualcosa? Abbraccia il disordine per porvi rimedio o si limita a criticare e a “mettere in risalto la crepa”/indicare il difetto? 

Quanta luce trapela dall’anno che ci stiamo lasciando alle spalle? Può essere riconosciuta, raccolta, usata?

Buon 2021! DrDedalo

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