“Il mondo che troviamo all’esterno di noi è, almeno in parte, il ricettacolo del
terrore che abbiamo dentro di noi”
Adam Phillips
Qualcuno ha detto che i Miti sono eventi mai avvenuti che si ripetono continuamente. Un mito è un “come se”: una narrazione che svolgendosi spiega qualcosa, una storia che fa luce su un aspetto della psiche, del comportamento o della relazione.
Si racconta, per esempio, che sulla strada che andava da Megara ad Atene ci si potesse imbattere in un brigante soprannominato Procuste che possedeva due letti, uno grande e uno piccolo, e che si dilettava in un particolare tipo di tortura: dopo averli catturati metteva tutti i viandanti di bassa statura sul letto lungo e quelli alti sul letto corto; i primi venivano stirati con violenza per essere allungati mentre ai secondi venivano tagliati i piedi o parte delle gambe in modo da adattarli al giaciglio.
Da allora con il termine letto di Procuste si fa riferimento a una situazione angosciosa in cui ci si sente forzati a corrispondere ad un modello e nella quale si è costretti a un adattamento snaturante, un processo che per renderci conformi ci fa soffrire storpiando e mutilando.
Son sicuro che tutti voi potete trovare almeno una volta in cui, nella vita, vi siete trovati su una qualche variante più o meno dolorosa del letto di Procuste. So, insomma, che conoscete bene i sintomi che accompagnano l’adattamento, la costrizione e il dover subire. Ci sono forze che deformano e che mettono a dura prova l’elasticità, la salute psichica (e a volte anche fisica) di chi le sperimenta. Incontriamo molti Procuste e a volte li portiamo con noi sotto forma di tormenti interni: istanze quasi estranee per le quali non andiamo mai bene: troppo grasso, magro, piccolo, diverso, inadatto, sbagliato… La psicoanalisi ha trovato nomi per queste “forze interne”e per i complessi che ad esse sottendono, la psichiatria ha definito sindromi che spiegano la rigidità delle difese e i tratti patologici di personalità.
Ma già i miti avevano detto la loro sul meccanismo per cui adattandoci possiamo assumere forme che perpetuano il dolore del trauma e che cronicizzano modi di essere ben poco armonici.
Il mito è un invito alla riflessione, uno strumento per l’introspezione e spesso tra le sue pieghe è già presente un Pharmakon, un rimedio alla condizione patologica senza apparente via d’uscita che il racconto prospetta. Procuste, per esempio, venne ucciso da Teseo che gli fece subire la stessa sorte a cui lui sottoponeva le sue vittime.
Teseo compì molte altre mirabili gesta. Si narra che la nave sulla quale viaggiava subì così tanti danni e fu talmente soggetta all’usura del tempo che tutte le sue parti vennero sostituite. Eppure la nave è rimasta la nave di Teseo.
La capacità di cambiare continuamente e di mantenere tuttavia la propria identità originaria; il poter essere dei viandanti a cui non vengono risparmiati dolorosi incidenti di percorso e che, come la nave di Teseo, mantengono la propria forma non è che la descrizione parallela di un altro Mito di cui egli è protagonista: quello che lo vede come l’eroe che sconfisse il Minotauro e che, grazie al filo fornitogli da Arianna può ritrovare la strada fuori dal labirinto, quella che gli permette di tornare. Come dire che occorre perdersi un po’ per ritrovarsi, che vale la pena di andare incontro ad alcuni rischi contando sulla propria capacità di ripararsi e che ci sono dei fili/processi che ci permettono di sperimentare strade diverse anche molto complesse preservando comunque la nostra capacità di persistere.
Il contrario del tentativo di adattarsi forzatamente a un modello, l’opposto di quello che farebbero i vari Procuste, interni ed esterni.
Chi incontriamo sulla strada verso Atene? Fuori, nella relazione, o dentro, interiorizzato come una “voce interna”? Un brigante che ci sovrappone ad un modello o qualcuno che promuove la plasticità? Un rigido conservatore o curioso esploratore? Una descrizione stereotipata o una visione ecologica?