Mandanti

Mi domando chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio”
Altan

L’Amore e le Parche di Ettore Tito (particolare)

L’immagine qui sopra è un particolare di un quadro di Ettore Tito: L’amore e le Parche. È esposto alla galleria d’arte moderna di Palermo dove l’ho visto per la prima volta qualche giorno fa. All’inizio sono rimasto sorpreso dall’associazione che mi è venuta in mente con la battuta di Altan ma poi, riflettendoci, mi è parso evidente che l’idea di mandante traspaia con chiarezza dal dipinto. Una delle tre Parche indica ad un giovane Eros dove colpire. Nello sguardo di questi si vede la ferma decisione di scagliare la freccia che determinerà il destino della vittima: colei o colui che, ferito da uno stimolo che non può essere ignorato, non potrà che rispondere imboccando una strada che crederà di aver scelto ma che, invece, è una sorta di direzione obbligata.

Sia le Parche che Eros sono forze primigenie: entità sovra-personali che fanno la loro comparsa ben prima degli Dei e a cui anche questi ultimi sono, nell’antica mitologia, soggetti. Nemmeno gli Dei potevano molto contro i dardi di Eros né erano esenti da Necessità (Ananke) madre delle Parche a cui l’obbedienza era semplicemente dovuta.

Ciò che vedete nell’immagine è una rappresentazione di “forze che stanno dietro”: pulsioni a cui tocca obbedire, persuasori che tolgono dalla vista porzioni di realtà per metterne in evidenza altre. Come quando ci si innamora e non si vede che l’amata o come quando, presi da un qualche tipo di sacro fuoco, si va verso “un destino” comportandosi come degli eroi o come dei fanatici.

Facendo spesso un sacco di cazzate senza nemmeno chiedersi chi sia il mandante.

Parlando dell’Io e delle difese Freud disse che “Per l’organismo la protezione dagli stimoli è una funzione quasi più importante della ricezione degli stessi”. Da neurologo (prima ancora che da psicoanalista) aveva capito che c’è nel sistema nervoso, già a partire dagli organi di senso, una funzione di filtro che serve a mettere ordine nell’assedio permanente degli stimoli a cui siamo sottoposti e che, a un livello di elaborazione meno periferico, è il modo in cui ci difendiamo da questo assedio a determinare la nostra visione e la nostra personale interpretazione della realtà. Vediamo ciò che non escludiamo e il negato, il rimosso e il trasferito altrove, se ne stanno a margine, fuori dalla coscienza, forse ben visibili per altri ma non per noi che, presi dalla nostra descrizione di mondo, non ne mettiamo in discussione i confini se non quando uno scompenso (spesso un sintomo) ci obbliga a una revisione della mappa e ad una indagine sui mandanti.

L’inchiesta, la ricerca di un determinismo esterno, comincia quando ci si chiede: “Cosa mi è preso? Come ho potuto compiere quel gesto, mettermi in quella situazione, non accorgermi delle conseguenze?” Il sintomo che accompagna queste domande è uno spaesamento: una vertigine connessa alla consapevolezza di non essere padroni in casa propria e di dover fare i conti con forze che possono impossessarsi di noi.

È partendo da questa percezione che molti cambiamenti diventano possibili perché è grazie allo spaesamento che si può iniziare una riflessione su chi o cosa nella mente  e nel corpo spinge in certe direzioni, crea determinati gusti, rende più o meno amichevoli o ostili certe porzioni di mondo.

I mandanti non sono sempre forze soverchianti: Eros e le Parche o Pan con il terrore incontrollabile o Penia con le carestie e la fame. Capita di scoprire che, come ebbe a dire Dryden: “I più sono sviati dall’istruzione, credono a questo o a quello perché così li hanno educati; il prete continua ciò che iniziò la balia ed è in tal modo che il bambino inganna l’uomo.” Ciò che guida molti dei nostri comportamenti è spesso un bambino cresciuto a pane e pregiudizi, uno che è diventato un adulto poco pensante che, siccome  crede di avere ben stretta la barra del timone, non si chiede chi tracci la rotta e decida gli orizzonti, gli sfondi e le figure, l’indistinto e ciò che salta all’occhio.

Un rimedio per questa ignoranza, un inizio di cura, è quello di chiedersi, come Altan, “chi è il mandante delle cazzate che faccio?”, “C’è un qualche dito puntato che mi ha indicato l’angolatura da cui osservare? chi interviene sulla mappa del mio mondo? cosa vuole che veda?”.

2 thoughts on “Mandanti

  1. Giuseppe

    Post davvero interessante – come tutti i suoi articoli d’altra parte.

    Ma dopo aver letto questa sua riflessione non posso fare a meno di farmi una domanda, che mi sono posto spesso in passato: una ulteriore domanda. Già… perché lei spinge il lettore a domandarsi che si nasconde dietro alle “cazzate”.

    Molto bene, ma nel momento in cui si acquisisce questa consapevolezza e ci si pone questa domanda come ci si comporta con “la cazzata” con “il sintomo” con “lo stimolo” con “questa forza così travolgente” ? Si reprime e si osserva cosa accade ? Oppure mantenendo sempre l’osservazione non giudicante si lascia che questa forza faccia ciò che vuole fare ?

    Saluti

    Reply
    1. drdedalo Post author

      Bella domanda, Giuseppe!
      La risposta terapeutica è “non lo so”: il post è un invito alla riflessione e il termine stesso “cazzate” se ci pensi implica azioni fatte con una parte del corpo che non è certo la testa. L’idea è che una volta che si è pensato abbastanza profondamente su qualcosa che avrebbe portato ad un’azione compulsiva e automatica, quella spinta non sarà più la stessa. A quel punto, naturalmente, il soggetto potrà decidere di persistere nell’impulso o di trattenerlo o di trasformarlo in qualcosa di diverso. Saranno comunque aumentate le possibilità e in fondo questo è l’obiettivo, quello che Heinz von Foerster chiamava Imperativo Etico: “Agisci sempre in modo da accrescere il numero delle possibilità di scelta”.
      Grazie dei tuoi commenti, saluti, Mauro

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