“C’era qualcosa di insostenibile nelle cose, nelle persone, nelle palazzine,
nelle strade, che solo reinventando tutto come in un gioco diventava accettabile”
“L’amica geniale” E.Ferrante
Diceva Freud che “ripetiamo ciò che non ricordiamo”. Intendeva che se un evento, un’esperienza o un fatto non sono in qualche modo trasformati, se non riusciamo a raccontarci qualcosa che abbiamo vissuto, siamo destinati a ripeterlo senza consapevolezza e, quindi, più a subire che a determinare. In altre parole, proprio come nella frase dell’incipit, se noi umani/animali narranti non riuscissimo a trasformare in storia (e quindi in gioco) l’ambiente in cui siamo immersi, non riusciremmo a sostenerlo.
Ci limiteremmo a rispondere ad esso, vivendolo passivamente, senza apprendere niente se non quel minimo di risposta agli stimoli che ci permette di reagire e di portare avanti un’esistenza che, come quella degli animali, si affida più alla ripetizione di schemi, per quanto complessi, che alla ricerca di un senso o all’invenzione di un mondo.
Giocare almeno un po’ significa aggiungere spazio per rendere meno stretto il tessuto delle cose, meno monotono lo scorrere del tempo e più accettabile il susseguirsi degli eventi.
Come in questa piccola poesia:
Storie
Poiché ogni cosa scrive la propria storia
per quanto umile sia
il mondo è un gran librone
aperto a una pagina diversa
a seconda dell’ora del giorno,
su cui potrai leggere, se ti pare,
la storia di un raggio di sole
nel silenzio del pomeriggio,
di come ha trovato un bottone
perso da tanto
sotto una sedia nell’angolo,
un piccolo bottone nero che era cucito
sul retro di un abitino nero
che una volta lei ti chiese di riabbottonare,
mentre continuavi a baciarle il collo
e le allungavi le mani sul seno.
Charles Simic
Facciamo così noi umani: raccontiamo che è il sole a scovare il bottone e ci ricordiamo da dove arriva perché ci abbiamo “vissuto su” una storia. E’ come la raccontiamo ma è, anche, come l’abbiamo raccontata mentre stavamo vivendola. E il sapore di quel ricordo è frutto della qualità della narrazione. La storia è spesso scritta a più mani, le versioni a volte si assomigliano ma non sono mai perfettamente uguali proprio perché non sono registrazioni ma memorie: invenzioni di animali narranti. Come i miti, come i romanzi. O come le sedute che, se ne era già accorto Freud, non sono (e non devono essere) resoconti attendibili ma re-visioni: esplorazioni del vissuto alla ricerca di quei punti difficili da raccontare, quelli in cui si comincia a ripetere e in cui serve capire cosa non è stato assorbito, cosa va ricordato di nuovo.
Il ricordo è un processo e la memoria è sempre un agglomerato: un insieme di percezioni e di sentimenti, di dati e di tracce energetiche che ci danno il peso, lo spessore e l’importanza soggettiva di un momento vissuto.
La storia, il racconto, a volte minuscolo, come un brevissimo sogno, è il filo con cui teniamo insieme le parti che compongono i ricordi.
Riabilitare la capacità di raccontare è la via maestra per la costruzione di memorie che durino: uno dei compiti più impegnativi e più nobili degli animali narranti.