Perché la notte

William-Adolphe Bouguereau-La Notte-1883

“E il mio maestro mi insegnò com’è
difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”
Franco Battiato

Prima che il Cristianesimo si diffondesse e che il Natale diventasse la “festa comandata” in questo periodo dell’anno, in molte antiche civiltà  si compivano riti che celebravano la vittoria della luce sulle tenebre.
La ricorrenza del Sol invictus nel tardo Impero Romano, la Chanukkah, festa delle luci, nell’Ebraismo, vari riti mediorientali sulla nascita del sole, tutte queste celebrazioni manifestano la speranza dell’uomo in una ripresa della luce dopo un periodo di buio e la fede in un ritmo naturale in cui l’alternanza di giorno e notte garantisca un eterno ritorno del bene, identificato con il chiaro giorno, contro il male rappresentato dall’oscura notte.

Chiedersi a che punto è la notte, è chiedersi quanto ancora si dovrà sostare in un passaggio difficile, in un momento di sconforto o in qualche tipo di tunnel di cui non si veda la fine. E gli auguri di buon anno sono (o vorrebbero essere), in fondo, una sorta di antidoto contro la stagnazione: un memento per ricordarci che le cose possono rinnovarsi e che dal vecchio qualcosa di nuovo e vitale può avere inizio.

Da poco le giornate hanno iniziato ad allungarsi, lo faranno fino a metà giugno e, poi, si accorceranno fino a metà dicembre: il ciclo notte-giorno astronomico va avanti come niente fosse e, in questa accezione, la notte è esattamente al punto in cui dovrebbe essere.

Dal punto di vista soggettivo, invece, ognuno di noi fa i conti con la propria percezione di… come sta: “quanto bene o male mi sento, cosa  mi manca per dire è pieno giorno, e quanto posso contare sulla durata del mio benessere, quanta paura ho della notte?”.

Sono domande che ci poniamo spesso e capita che, nelle ricorrenze, diventino più insistenti, come se ci si sentisse obbligati a tirare un  bilancio o a misurarsi con uno standard che più che con la luce e con il buio ha a che fare con il giudizio che, a volte inconsciamente, esprimiamo dimenticando che, tanto,  la notte è comunque sullo sfondo!

Nyx: la notte, madre di eros e di thanatos, figlia del caos o, in altre tradizioni, della luce (!), appare come archetipo all’inizio dei tempi. Perché le cose si svolgano, essa va contrastata.
Ma per quanto combattuta  non può che rimanere, non può che tornare e alimentare il conflitto, polemos, padre, secondo Eraclito, di tutte le cose.

Verso ciò che ci spaventa mobilitiamo le nostre difese e contro la notte si accendono i fuochi del pensiero cosciente, le luci della ragione e, in certi casi, quel particolare tipo di follia di chi crede che ogni cosa possa essere resa chiara e che ci sia un qualche sol dell’avvenire che non si spegnerà mai.

Su costoro la notte si vendica rendendo il loro “chiaro sguardo” del tutto miope e ingannandoli con… la certezza: l’illusione di aver trovato qualcosa di perenne, incontaminato, senza ombre.

Trovate una certezza e avrete trovato una stagnazione: un punto in cui la ricerca si interrompe e su cui si sa già tutto, un non-luogo in cui ci si crede arrivati e al sicuro. E’ dove smettiamo di pensare, di chiedere e di appassionarci. Un punto in cui perdiamo quello che è invece il vero dono della notte: il Dubbio che, con il suo pungolo, favorisce il movimento e permette la scoperta.

Il dubbio, il vestito della notte, è, probabilmente, il miglior esempio di quanto sia difficile scorgere l’alba dentro l’imbrunire e di quanto, nello stesso tempo, questa difficoltà sia… piena di forza.

La civetta che sosta sulla spalla di Athena vede nel buio: scorge nell’oscurità e, come il dubbio, non nega la notte ma la abita!

Perché la notte è un invito a riflettere mentre si agisce, ad accettare mentre si combatte, a non escludere senza aver prima indagato.

Perché la notte…

Auguri! drdedalo

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