Enorme è brutto

Gustave Doré

Gustave Doré

“Non possiamo accorgerci dell’incanto del mondo, della bellezza delle piccole cose che ci circondano, se i nostri sensi sono resi ottusi dall’azione esaltante dell’enormità.”
James Hillman

Il titolo di questo post prende spunto da un saggio di Hillman del 1989: ‘And huge is ugly’.

Mi è venuto in mente stamane ascoltando il ripetitivo “great” che ha pervaso il discorso di Trump e il coro di commenti entusiastici dei suoi sostenitori: l’America di nuovo grande, il “raddoppieremo la nostra crescita”, il grande paese, il grande popolo.

L’ho riletto e ve ne riporto dei pezzi con l’aggiunta di qualche commento perché credo che possa fare da contraltare, nella psiche di tutti noi, a questa esplosione di “grandezza”.

Hillman diceva: “Il mio compito come psicoanalista è quello di eliminare la repressione; cioè la repressione dovuta a quell’ottundimento psichico che è il nostro attuale malessere, all’anestesia della nostra sensibilità” e, siccome vedeva nel continuo guardare all’esterno e nella compulsione all’estroversione il contrario del lavoro che andrebbe fatto, non era un grande sostenitore dell’espansione, del progresso sfrenato e della crescita a tutti i costi.

Oggi sentendo i commentatori del giorno dopo che ci spiegano quanto sia stato importante parlare alla pancia delle persone e far leva sulla loro voglia di riscatto e sulla speranza di un ritorno ad  un passato glorioso, ottundimento è la parola da cui non riesco a liberarmi.

Enorme (huge) è una sorta di patologia di grande (great) e le “pance” non sono famose per il senso della misura: per fermarsi e riflettere, per pensare e per orientarsi occorre distogliere l’attenzione dalla pancia, occorre mettere da parte il bisogno/la fame e concentrarsi sul contesto; occorre guardare con interesse e dubitare. “Il mondo non chiede che si creda in esso; chiede che ci si accorga di esso, che lo si apprezzi e che si abbia per esso attenzione e cura.” (Hillman).

Puntare alla grandezza senza ricorrere all’antidoto della sensibilità è un rischio. Nella mitologia c’è un evento che richiama l’attenzione su questo bisogno di cura e di attivazione della sensibilità: Zeus insieme agli altri dei deve, prima che le cose abbiano inizio, sconfiggere i Titani. Deve, insomma, mettere a tacere il gigantismo e il bisogno di continua espansione, deve circoscrivere il mondo e dargli dei confini e, per farlo deve “sposare Metis” (saggezza o misura) e accoppiarsi con Mnemosyne, madre delle Muse, patrone delle arti e delle varie sensibilità.

Queste immagini sono dei moniti, delle avvertenze che ci ricordano che c’è in ognuno di noi una tendenza al gigantismo che pensa alla pancia e non vede che la soddisfazione dei bisogni, e che questa tendenza va controbilanciata perché “l’immaginazione civilizzata, l’immaginazione dell’ordine civico, ha inizio solo quando l’eccesso è circoscritto”.

In altre parole il compito di cui parla Hillman è il contrario dello spingere verso la grandezza. Non perché la grandezza non sia un valore ma perché va accompagnata da una forza che la possa imbrigliare prima che diventi patologica e soverchiante.

Purtroppo sembra che dall’altra parte, dalla parte di chi dovrebbe indossare il vestito del paladino della sensibilità e della ragione (quelli che dovrebbero opporsi ai Titani, insomma) non ci siano che delle versioni più sofisticate delle stesse pance.

Tutto questo “nessuno si è accorto, i sondaggi non hanno visto, nessuno ha creduto che la gente potesse…”, tutte queste palle (!), non sono che l’ammissione di una mancanza di sensibilità, di una cecità su cui non possiamo che chiederci: “cosa mi ha impedito di vedere, cosa ha represso il mio sentire profondo?

Credo che se gli sconfitti di oggi fossero sul lettino un buon inizio di seduta  sarebbe quello di leggere loro una frase di Yeats: “La mente che generalizza sempre si preclude quelle esperienze che le consentirebbero di vedere e sentire in profondità”. Partendo da questa riflessione si può fare un bel po’ di lavoro. Ci si può chiedere: “ Dove non ho dubitato? Cosa ho dato per scontato? Quale mio pregiudizio mi ha impedito di combattere il nemico giusto? Dove io stesso non sono stato altro che un Titano affamato, uno che ha ascoltato la propria fame invece di ragionare su quella dell’altro?”

Ce n’è abbastanza per più di una seduta ed è un inizio. Così tanto per differenziarsi e non rivolgersi alle pance!

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