“Nel vuoto del vaso sta il senso dell’uso”
Tao Te Ching
Avere un titolo è già un inizio. Aiuta a rompere il tabù del foglio bianco, impedisce quel risucchio che avviene quando ci si appresta ad iniziare e offre qualcosa a cui attenersi, attorno a cui girare senza troppo allontanarsi dalla base.
L’altro ieri un’amica mi ha chiesto di scrivere un post su David Bowie. Ci pensavo da qualche giorno e mi trattenevo perché ho già scorso un po’ di articoli e in alcuni ho letto cose che anch’io avrei detto, in altri ho riconosciuto la solita sperticata lode del mito che mi irrita e nella quale cerco di non cadere anche se, insomma, Bowie mi piaceva molto, la sua morte mi ha colpito e non ci credo tanto che sia morto. O, meglio: ovvio che lo so! Era un alieno ma non era immortale. Eppure, era uno di quelli che non ci pensi che morirà. L’incarnazione di un archetipo: quel puer aeternus che soggiorna in tutti noi e che sembra non invecchiare mai, anche quando il corpo si logora, anche quando sarebbe ora di diventare saggi. Uno che inizia cose qualche giorno prima di andarsene e che mette Lazarus fra i suoi ultimi brani.
Il puer rappresenta una delle spinte più dinamiche della psiche: crea quasi per il gusto di creare, gioca con i propri artefatti e continuamente dà inizio; fin dalla più tenera età mostra una sorta di dono, un talento che… spreca, dandolo a piene mani, elargendolo così come si fa quando si considera che, tanto, la fonte non può esaurirsi.
E’ un principiante (ma non un dilettante) perché adora provare cose non ancora provate o impegnarsi nel compito di fare come se fosse la prima volta. Lo è per natura e lo è perché è come se del suo dono non sapesse che farsene (lo dice, la canzone: I’ve nothing much to offer/there is nothing much to take/I am an absolute beginner/and I am absolutely sane).
Se non si dà una regolata rischia di diventare un inconcludente: uno di quei tipi con un grande futuro alle spalle che, indulgendo con la propria natura, mette in scena la versione nevrotica dell’archetipo: il farfallone che salta da una cosa all’altra senza portare niente a termine o il “genio incompreso” che reitera gesti che erano consoni in un adolescente ma fanno ridere in un adulto e, ancor più, in un vecchio.
Capita con gli archetipi che, come tutte le “spinte naturali” possono portare alla rovina se non vengono indossati coscientemente e se non sono controbilanciati da quel duro lavoro che trasforma la forza bruta in uno strumento che possa essere usato. L’idea che il talento e l’inclinazione debbano essere investiti si riferisce proprio a questo passaggio cruciale: avere una passione e non coltivarla equivale a buttare nel vuoto qualcosa che, invece, potrebbe darci grandi soddisfazioni. Qualcosa di potenziale spinge per manifestarsi, è un modo particolare e originale di riempire il vuoto e se non viene usato quel vuoto resta intatto. Un vero peccato, sia per il carattere che per l’umore.
Forse perché sull’indossare non era secondo a nessuno questa disdetta a Bowie non è capitata!
Non credo si possa dire che riempisse il vuoto. Lo evocava, piuttosto, dandone un saggio nell’ambiguità di uno dei suoi personaggi principali: l’ermafrodito, l’uomo-donna, figlio di Hermes, dio della comunicazione, della velocità e del nascosto e di Afrodite, patrona della bellezza, dell’eros e della manifestazione. Timido e sfrontato; sfuggente e seduttivo.
Mi viene in mente una poesia di Charles Simic che in Today’s Menu invita a gustarlo, il vuoto e ad indossarne le potenzialità:
Mister, abbiamo soltanto
una ciotola e un cucchiaio
perché lei possa trangugiare
copiose sorsate di niente
lasciando credere
che stia sorbendo una zuppa densa
e scura, fumante
dalla ciotola vuota.
All we got, mister,
Is an empty bowl and a spoon
For you to slurp
Great mouthfuls of nothing.
And make it sound like
A tick, dark soup you’re eating,
Steaming hot
Out of the empty bowl.
Questo sembra fare un absolute beginner. Si trova davanti… niente e, su quel niente, comincia a ricamare. Il vaso vuoto viene visto come una risorsa e come un invito ad immaginare. E’ una disposizione d’animo, un modo di porre attenzione.
Il filosofo e maestro zen Suzuki la definì mente di principiante. Io credo che sia strettamente imparentata con quella capacità di perseverare nelle incertezze di cui parlò Keats (e di cui do un accenno in Capacità negativa) che permette a chi la possiede e la allena di fare del vuoto un pretesto per la messa in scena, un’occasione per la creatività.
Una capacità che a David Bowie di sicuro non mancava.