“Non mi fido di chi non ha un lato oscuro”
Iron Man
Nel suo libro Gli dei e gli eroi della Grecia Karoly Kerenyi parla dell’impossibilità di contenere in un’unica descrizione le figure che popolano i miti e i racconti della mitologia. Dice: “Il significato dei racconti era nella figura della divinità stessa; nessun singolo racconto poteva contenere la figura completa in tutti i suoi aspetti. Gli dei vivevano nell’anima dei nostri antenati e non si trasfondevano in alcun racconto interamente. In ogni storia però restava, e resta tuttora vivo, qualcosa di loro che apparteneva all’insieme della loro figura.”
Ogni racconto sugli dei è, insomma, parziale e mette in luce un aspetto tralasciandone molti altri.
Sapere che qualcosa resterà oscuro dà profondità alla narrazione e rinvia ad altre storie e ad altre gesta, trame e relazioni che, si sente, potranno intrecciarsi in momenti diversi o in contesti che renderanno espliciti altri tratti della persona di cui stiamo parlando.
Gli dei e gli eroi sono dramatis personae: maschere del dramma che si svolge, personaggi che rimandano all’anima di chi racconta e alla psiche di chi si nutre del racconto sentendolo proprio.
Ciò che nella storia resta vivo è ciò che cattura l’anima di chi ascolta: ciò che la costringe ad animare con emozioni, sensazioni e sentimenti le figure che le appaiono, le vicende cui assiste.
Risuonano in noi aspetti della rappresentazione e ad-sistiamo, stiamo presso a… colui o colei con cui ci identifichiamo ma anche a coloro che ama, che aiuta o che combatte.
E’ in questo stare presso che trova spiegazione l’amore dell’uomo per i racconti: vediamo qualcuno che negli atteggiamenti, nel carattere e nell’animo possiede una forma che ci piace ed è naturale metterci nei suoi panni, stare dalla sua parte, volergli assomigliare.
Forse Eraclito, l’oscuro, intendeva proprio questo con la frase: Ethos antrophoi daimon che può essere tradotta con Il carattere è destino ma che significa, anche: l’uomo sta/abita presso il dio.
Veniamo al mondo e abitiamo un ambiente che è saturo di storie e “ Prima viene il sogno, con tutto ciò che ad esso si aggancia: la fantasticheria, l’arte, il delirio: ciò che diciamo non esistente. E solo dopo viene la realtà: che ci illudiamo di trovare bell’e fatta come il pulcino, e che invece è solo la creazione del nostro pensiero maturo” (C. Musatti).
Quello che viene prima si protende nella realtà che continuamente costruiamo. E il mondo è “pieno di dei” non visti o proiettati inconsapevolmente dentro le cose. Il pulcino con cui crediamo di avere a che fare è una chimera, un ibrido che cambia costantemente e le cui sembianze vengono modificate da forze che agiscono fuori dal nostro sguardo.
Quando in terapia si accosta all’episodio che i pazienti raccontano una storia antica che, per qualche verso, assomiglia a ciò che hanno vissuto, li si invita a riflettere sulle radici di ciò che sta accadendo nella loro vita e a scorgere nelle figure con cui oggi sono in relazione i riflessi di qualcosa di universale che si manifesta.
James Hillman paragonava la psiche ad un giardino che può e deve essere coltivato e che, allo stesso tempo è sempre soggetto a forze che dall’esterno lo influenzano, lo nutrono, lo arricchiscono e lo minacciano. Parlare di dei e di eroi, di esseri mitici e di potenze che trascendono la nostra volontà è un modo per guardare oltre la siepe: una posizione mentale che ci impedisca di diventare troppo prosaici e che ci permetta di fertilizzare il giardino tenendolo aperto ed esposto.
E’ utile per contrastare quella che considero una delle cause del dolore psichico: quella riduzione della realtà che, considerando il mondo come qualcosa di dato e a cui conviene attenersi, lo fa assomigliare più ad un supermercato che ad un giardino. Questa rappresentazione rimpicciolisce la percezione, toglie profondità allo sguardo e ci riduce a consumatori poco partecipi.
Credo che, invece, convenga stare nelle storie, considerare il lato nascosto, sapere che non tutto è dato.

At The End Of The Day_Violet Gray_www.violetgrayart.com