“Nel momento in cui cominciamo
a comprendere la nostra gelosia
anche la nostra collera inizia a dissolversi”
Thich Nhat Hanh
Quando ho letto la frase che riporto nell’incipit ci ho messo un po’ a capire. Sono partito con lo strumento sbagliato cercando la collera e la gelosia. Poi mi sono ricordato che la mente non contiene oggetti ma relazioni e, invece di puntare agli asini legati agli estremi della corda, ho cominciato a riflettere sul nesso che mi veniva proposto: qualcosa che lega una maggior comprensione di un sentimento, la gelosia, con il dissolversi di un’emozione, la collera.
Ci sono legami che collegano stati d’animo, emozioni e atteggiamenti e nella mente certe relazioni sono collegate ad altre e ad altre ancora.
La gelosia, ad esempio, non è un oggetto ma una relazione. E’ un tipo di attaccamento fra me e un altro; una presa ben salda che se messa in discussione si stringe e afferra ancor più saldamente ciò che teme possa esserle sottratto; uno stile spesso inconscio e automatico di possedere: “Questo soggetto/oggetto è mio e reagisco se sfugge o se qualcuno prova a portarmelo via. Lo voglio per me e se qualcun altro sembra possederlo… lo detesto, provo invidia, antagonismo, rivalità.”
Anche l’invidia è una relazione. Melanie Klein la definì odio per un oggetto precedentemente erotizzato spiegando con questa sintesi che se non mi piacesse, se non desiderassi ardentemente, come se volessi portarmela a letto la “cosa” o la qualità che un altro possiede, non proverei certo rabbia verso di lui, non avrei alcun bisogno di sperare che la perda, che non se la goda, che gli vada per traverso.
Si assomigliano, insomma, queste due propensioni che avvelenano la mente e che vengono scambiate, a volte, per effetti collaterali dell’amore: risultati naturali di un attaccamento che, desiderando, vuole per sé, esclusivamente, fino alla simbiosi.
E la collera? La collera è primordiale, quasi fisica, legata all’istinto di attacco e all’aggressività animale che risponde a un pericolo o attiva il corpo verso una preda: un oggetto da raggiungere, catturare, mangiare. E’ un’emozione che passa all’azione e lo fa per difendere o per acquisire-prendere con la forza-non lasciar andare.
E se non ci fosse un territorio da difendere, un animale da catturare o da contendere, un’integrità fisica da salvaguardare con le unghie e con i denti?
Quanto ci si arrabbia in un supermercato? Quanto si litiga in un condominio? Compriamo pezzi di animali che non abbiamo dovuto uccidere e macellare. Viviamo in abitazioni che nessuno minaccia di invadere. Ma la collera e l’irritazione non diminuiscono e l’aggressività è meno manifesta ma probabilmente più intossicante che nel passato. Quale oggetto custodiamo così gelosamente? Cosa amiamo in modo così morboso?
E’ stretta la parentela fra gelosia e collera! Ma, come al solito, è l’oggetto che sfugge.
Perché non ci sono oggetti da cercare! Tentare di trattenere l’intrattenibile, credere che ci sia qualcosa che potremo possedere per sempre, accanirsi per stringere… aria fra le mani (o oggetti nella mente).
Certo che fa arrabbiare. Se è vero che l’aggressività è figlia della frustrazione niente ci renderà collerici quanto il tentativo di rendere fisso, permanente e sicuro ciò che è mutevole, dipendente, labile. Questo modo di fare è alla base della gelosia. Concordo con chi ha detto che comprendendolo ci si libera di molta rabbia.
Ragionare così è molto semplicistico, ma in realtà quando c’è un sentimento vero tutti questi ragionamenti saltano.