“Cominciamo con un fatto: le persone
non sono preassemblate,
ma tenute insieme dalla vita”
Joseph LeDoux
LeDoux è uno dei più importanti studiosi di neurobiologia. Se parla di persone lo fa tenendo in mente, per mestiere: il cervello, le connessioni sinaptiche, i neurotrasmettitori, i geni e, insieme, ma un po’ dopo, l’ambiente. Quando dice che non siamo preassemblati intende porre l’accento sul ruolo dell’esperienza e ribadire che la relazione modella ed interviene continuamente nella modulazione di ciò che il patrimonio genetico che abbiamo ereditato fornisce fin dall’inizio. Partiamo con delle predisposizioni ma solo alcune delle tendenze che acquisiamo sono immutabili. Non possiamo fare nulla per intervenire sul colore dei nostri occhi ma possiamo dire che, per quanto riguarda tratti complessi come quelli che determinano aspetti del carattere, molto può essere appreso e la vita che conduciamo fa la differenza (tanta differenza).
Non ha senso, insomma, parlare del gene della depressione o della criminalità ed è ridicolo credere che ci sia una correlazione fra, per esempio, l’etnia di appartenenza e la propensione “genetica” a comportarsi in un certo modo.
L’informazione che arriva dal mondo conta moltissimo e non c’è organismo che sia in grado di esistere separato dal mondo e dalla relazione e senza qualche oggetto che lo influenzi.
Per noi esseri umani la relazione è, dal punto di vista soggettivo, sempre una relazione-fra-soggetto- e-oggetto: anche se ho a che fare con la persona che amo di più, io resto comunque il soggetto e lui/lei l’oggetto. Vedo me come colui che svolge l’azione e percepisce e immagino che anche per l’altro sia così e magari desidero che le nostre sensazioni coincidano e che le emozioni di entrambi si sintonizzino ma, sempre, sento dentro di me la sintonia o la dissonanza tra di noi.
Ogni relazione ha, per definizione, un contenuto emotivo (affettivo) che colora lo scambio di comunicazioni aggiungendo una tonalità, qualcosa che qualifica il rapporto come piacevole, sgradevole, desiderabile, disgustoso, pauroso, eccitante… vedete: impossibile qualificarlo senza ricorrere ad una qualche specifica sensazione.
Ce ne andiamo in giro portando con noi un bagaglio di rappresentazioni; un insieme di relazioni “portate dentro” come schemi che raffigurano il sé, l’oggetto, e l’affetto, cioè la tonalità emotiva che lega entrambi. Io e il mio amico o il mio nemico, un alleato o un estraneo; il marito, la moglie, l’amante, il figlio, prima che essere dei ruoli sono dei sentimenti che caratterizzano la qualità del rapporto e dell’attaccamento… cosa provo quando penso, considero, vedo, quel determinato soggetto; che oggetto è per me? Quanto bene gli voglio? Quanto e come lo penso?
Spesso ciò che sento determina la quantità di energia che dedico ad una particolare rappresentazione e capita, a volte, di spendere molto tempo a discutere con l’immagine di un avversario o ad odiare quella di un nemico (vero tempo sprecato). Le rappresentazioni delle relazioni, sembrano nate, da un punto di vista evolutivo, proprio per risparmiare tempo così che, una volta stabilita la qualità di un rapporto non ci sia più bisogno di tornarci su. E’ comodo, in un gruppo di animali sociali stabilire delle gerarchie: femmine e maschi dominanti, gregari, cuccioli, padri, madri, zii e zie; noi nel branco e gli altri fuori: estranei verso cui mostrare indifferenza (poco spreco di energia) o contro cui combattere o da cui scappare se dovessero diventare minacciosi.
Comodo e stabile! Senza bisogno di cambiamento da un estro all’altro, visto che le gerarchia, in quanto forma rigida e primitiva di relazione, viene messa in discussione solo quando gli ormoni intervengono, nella stagione degli amori, a scompigliare tutto.
Un metodo estremamente efficace in gruppi in cui cambiare significa: fare un po’ di casino per ristabilire un ordine nuovo che andrà bene fino al prossimo giro di giostra. La gerarchia come “meccanismo ingegnoso per delegare la propria responsabilità a qualcun altro” (Heinz von Foerster).
Un meccanismo ingegnoso che fa acqua da tutte le parti quando i rapporti diventano più complessi e quando le rappresentazioni vengono messe in discussione da uno sfondo in cui le gerarchie scompaiono e anche dio, che serviva per mettere un punto fisso e immutabile a cui fare riferimento per stabilirle, sembra non cavarsela più tanto bene (certi dicono addirittura che sia morto).
In un mondo così le rappresentazioni sono messe a dura prova e il cambiamento diventa qualcosa su cui pensare: non basta sentire l’impulso ad agire e cominciare a fare per modificare qualcosa nell’ambiente; occorrono nuove descrizioni ed è in queste che l’uomo si è specializzato ed è su questo che il cervello umano ha una marcia in più rispetto a quello animale.
Ci siamo, insomma, specializzati in interpretazioni! Cose del tipo:“sì, d’accordo, è mio padre e gli devo rispetto ma quest’altro modo di guardare il mondo è meglio”; “sì, avevo promesso fedeltà eterna ma ero una persona completamente diversa da quella che sono diventato ora”; “chi è questo qua e con quale autorità pensa di potermi dire che…”. Variazioni di variazioni sul tema e descrizioni liquide che modificano il mondo e, spesso, si scontrano con le rappresentazioni che dovrebbero servire, invece, a mantenere stabili i rapporti e granitiche le convinzioni.
Mi sono imbattuto, giorni fa, su Twitter, nella frase di uno scrittore polacco, Witold Gombrowics, che diceva: “La più importante, estrema ed incurabile disputa è quella combattuta dentro di noi da due delle nostre aspirazioni fondamentali: quella che desidera la forma, il modello e la definizione, e l’altra, quella che protesta contro ogni modello e che non vuole le forme.”
Credo colga perfettamente il punto: visto che non siamo preassemblati ma tenuti insieme dalla vita, e visto che il mondo non è più quello scenario naturale in cui bastava seguire gli impulsi ed attenersi allo stabilito, occorre riflettere sulle forze che ci modellano ed accettare che, nelle persone e nel mondo, c’è una tendenza che spinge per costruire e mantenere forme e legami e un’altra che scioglie i vincoli e proporne nuove rappresentazioni, nuovi modi di leggere ciò che ci circonda.
Tenere presente questa lettura significa mettere il cambiamento al centro della propria meditazione e vederlo non come un evento ma come un’opera: qualcosa su cui possiamo intervenire e su cui il pensiero può fare molto.
Continua…