“Di che colore è un camaleonte allo specchio?”
Stewart Brand
Non si può dire che Emil Cioran, filosofo e saggista rumeno, francese d’adozione, fosse un ottimista. Molti dei suoi scritti parlano del dolore di vivere e dell’inutilità del dibattersi dell’uomo per uscire da una condizione che, se guardata con lucidità, si mostra, secondo lui, senza rimedio e senza soluzione. Eppure, nonostante il nichilismo che pervade la sua visione del mondo, quando Cioran fa riferimento all’intensità con cui bisognerebbe osservare e all’impegno che occorre mettere nel compito di essere svegli mentre si vive, le sue parole diventano quelle di un entusiasta: di una persona che spende senza indugio le proprie forze in questo lavoro.
Dice: “La curiosità, non lo si ricorderà mai abbastanza, è il segno che si è vivi e ben vivi; la curiosità risolleva e arricchisce ad ogni istante questo mondo, vi cerca ciò che in fondo non smette di proiettarvi, è la modalità intellettuale del desiderio.”
Questa frase è tratta da un breve saggio in cui scrive di un filosofo suo amico, Gabriel Marcel, uno che più diverso da lui non poteva essere e che, tuttavia, Cioran porta ad esempio di come si possa vivere bene provando grande piacere per ciò che si fa.
Quando l’ho letta mi è venuto in mente il camaleonte dell’incipit: questo protagonista di un koan visivo in cui si realizza il paradosso per cui la soluzione fondamentale diventa il problema principale. Un camaleonte allo specchio è un’ottima metafora per descrivere l’impasse in cui si può finire quando si arriva al confine di ciò che si sa fare: cambio colore per adattarmi/il mondo cambia colore e mi imita/cambio ancora, mi mimetizzo, divento come lui/lui diventa come me/ripeto la soluzione/si ripete il problema… ecc.
Vi cerca ciò che in fondo non smette di proiettarvi! Non dà le vertigini?
E’ una buona meditazione. A questo servono i koan: a rompere gli schemi e a mettere alla prova i confini; a stimolare una curiosità che provi ad uscire dal “solito conosciuto”. Il camaleonte che rompe lo specchio o che si interroga su cosa sia la mimesi o che vede che spesso le soluzioni sono dentro al contesto che genera il problema e contribuiscono a crearlo e a mantenerlo.
Trovo bello che Cioran, ateo, scettico e “leopardiano”, parli con ammirazione di un filosofo, credente, entusiasta e appassionato di Rilke. E’ un esempio del buon uso della curiosità e della volontà di osservare le soluzioni degli altri. Chiedersi: che ombra proiettano le mie convinzioni e le mie strategie sul mondo? cosa mando nello specchio e cosa mi riflette indietro? come posso rompere lo schema e liberarmi dalla morsa del conosciuto?
Sono domande terapeutiche e che arricchiscono il mondo! Il contrario dell’atteggiamento di “… quei critici che non leggono i libri e non vedono i film che devono recensire, per non correre il rischio di farsi influenzare” (Carrére).
Procurano un po’ di vertigini che non devono però preoccupare perché non sono che il sintomo dello specchio che si incrina e dell’apertura verso altri spazi. Tutta salute!
In fondo lo sguardo di Cioran è uno sguardo lucidamente Thanatos che integrando quello ‘erotico’, desiderante, di Marcel si fa più profondo. Potere della biodiversità e di persone che si aprono alla soglia del’altro da sé. E come nel caso del camaleonte che rompe lo specchio, si aprono a una conoscenza che è co-costruzione, dubbio, piacere immenso di superarsi..