“Come la melanconia è la tristezza diventata leggera,
così lo humor è il comico che ha perso la pesantezza
corporea e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete
di relazioni che li costituiscono.”
I.Calvino
Risponderò in questo post ad una serie di domande che mi sono state fatte dopo la pubblicazione dell’ultimo “Sull’ironia”, e lo farò prendendo spunto da un tweet di Gallizio, di oggi, che dice che “per far comprendere un concetto, per trasmettere un’idea a un bambino non serve semplificare, serve arricchire”.
Non perché creda di scrivere per dei bambini ma per “il fatto” che son convinto che anche gli adulti, adulterati, scafati, e disillusi, hanno/abbiamo bisogno di amplificare e di arricchire e di guardare da almeno (almeno) due punti di vista per non cadere nel letteralismo e nella monotonia della visione unica.
Diceva Calvino in Lezioni Americane, parlando di Kundera e del suo L’insostenibile leggerezza dell’essere, che: “Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.”
Mentre descrivono, certi romanzi e certi saggi sembrano alleggerire: sembrano compiere una sorta di gesto contro natura. Come se potessero ringiovanire le cose mentre il tempo passa o semplificarcele mentre diventano più complesse o renderle belle e avvincenti anche nel dolore e nella fatica.
Ciò su cui ho insistito nell’ultimo post, ciò che mi preme evidenziare anche come psicoterapeuta, è proprio questa capacità che abbiamo di sciogliere o coagulare, alleggerire o appesantire un evento.
Ci sono, credo, due tipi di ironia. C’è un’ironia inclusiva che chiude il mondo in una descrizione cinica e disillusa che include, appunto, appiattendo ciò che osserva e catalogandolo come un “già visto, già provato, niente di nuovo, niente da imparare”. E c’è un’ironia aperta che guarda oltre e che, alleggerendo, solleva un velo e fa vedere altro: mette in ridicolo, magari, ma non tanto per zavorrare e sminuire quanto per rendere volatile e, quindi, meno solido, in evoluzione, che può cambiare.
La prima semplifica con una battuta che taglia le ali, la seconda aggiunge le ali arricchendo la realtà con una Storia, una metafora, spesso, che ri-descrive il mondo dandone una lettura diversa.
Alleggerire è un modo per rendere fertile qualcosa. Calvino l’ha fatto con molti dei suoi personaggi: il Barone Rampante e il Visconte Dimezzato sono esempi di persone che proprio perché rese leggere diventano delle metafore che descrivono il mondo diversamente permettendo all’autore, con la loro “incompletezza” di criticare i cosiddetti normali, interi e sterili, invece.
Già nel mito iniziale della creazione del mondo così come lo conosciamo, gli antichi greci sottolinearono la necessità di alleviare la pesantezza.
C’era, prima di tutto, Caos che, nel suo significato originale, significa voragine, abisso senza fondo. E dalla voragine, come per necessità o come se fossero dati quasi contemporaneamente, nasce Gaia, la terra e: “Nato dalla vastità di Voragine, il mondo ha da allora in poi una superficie. Da un lato si spinge verso l’alto in forma di montagna, dall’altro sprofonda in basso come una galleria sotterranea. Sottosuolo che si prolunga tanto all’infinito e tanto indeterminato che, in un certo senso, ciò che si trova alla base di Gaia, sotto la superficie sicura e solida, è sempre l’abisso, il Caos. Il Caos evoca per i Greci una specie di nebbia impenetrabile in cui tutti i confini risultano confusi. Nel più profondo della Terra, si ritrova l’aspetto caotico originale.” (Jean-Pierre Vernant “L’Universo, gli Dèi, gli Uomini”)
La terra, Gaia, che è allo stesso tempo divinità e fenomeno naturale, solidità e metafora, mette ordine nel caos, diventa “…il suolo su cui dèi, uomini e animali camminano con sicurezza… il pavimento del mondo”. E’ su questo pavimento e grazie a questa solidità che ha origine il cielo, Urano, perché Terra, stimolata da Eros (quello primordiale meno “sessuato” e individuale del figlio di Venere che verrà dopo) lo partorisce spontaneamente.
“La prima storia è quella del Cielo. Ecco dunque Urano, partorito da Gaia e a lei corrispondente in ogni sua parte. Urano è coricato, disteso, e pesa su di lei che lo ha generato […] Urano non cessa mai di disseminarsi nel seno di Gaia. L’Urano primordiale non conosce altra attività se non quella sessuale. Coprire Gaia senza sosta, per quanto è nella sua potenza: non pensa che a quello e non fa che quello. La povera Terra si trova allora incinta di una prole numerosa che non può neppure uscire dal suo grembo, che deve restare là dove Urano l’ha concepita. Visto che Cielo non si alza mai da Terra, non si crea mai fra di loro uno spazio che permetta ai figli, i Titani, di uscire alla luce e di condurre un’esistenza autonoma.” (Jean-Pierre Vernant “L’Universo, gli Dèi, gli Uomini”)
Davvero una grande, primordiale, pesantezza e, senza spazio, nessuna possibilità di dare alla luce.
Manca una storia, insomma: si verifica questo stallo in cui tutto è pervaso da una sola descrizione che impedisce ad ogni altra voce di esprimersi finché… finché Terra non decide di farsi aiutare da uno dei suoi figli non ancora partoriti, Crono, che dall’interno del ventre della madre, con un falcetto che comparirà altre volte nella mitologia greca ( volte in cui ci sarà bisogno di fare spazio o di “partorire”), taglia il pene del padre dispotico che, ferito e reso meno potente, si ritira.
“Con la castrazione di Urano, avvenuta su consiglio e grazie all’astuzia della madre, Crono segna una tappa fondamentale nella nascita del cosmo. Separa il cielo e la terra. Crea fra cielo e terra uno spazio libero: da allora in poi ciò che la terra produrrà, tutto ciò che verrà generato dagli esseri viventi, avrà un luogo per respirare e per vivere.”
Dal fallo di Urano, gettato in mare e trasportato dalle correnti, avrà origine Afrodite, la leggerissima dea dell’amore che sorge dalla spuma del mare.
E’ “solo un mito” una cosa mai successa ma che accade continuamente. Alleggerire, togliere degli attributi (castrare, in un certo senso), fare spazio, sono, prima di tutto, gesti psichici. Accadono in seduta, ad esempio, quando una paziente si libera da un tratto maschile che la opprime, toglie di mezzo un padre interno dittatoriale o trova la forza di esprimere il proprio desiderio; accade quando un paziente sviluppa un tratto femminile che lo alleggerisce e lo rende meno penetrante ma più ricettivo meno blaterante e più bravo ad ascoltare. E’ una storia sugli inizi e quando accade dà origine a nuove cose.
Cosa c’entra con l’ironia? Avevo detto che avrei arricchito e amplificato e spesso non so dove andrò a finire quando scrivo un post. Rileggendo so che c’entra con la fertilità, con la ricettività e con la capacità di aprirsi un varco. Tutte cose che con l’ironia hanno molto a che fare. Con la capacità di tenerla leggera, in particolare: con la capacità di non farsi rapire dal desiderio di potenza e di usarla per rendere più liberi.
Continua…