“Per quanto fortemente ci concentriamo e per quanto cerchiamo di stare con i piedi ben piantati per terra, non riusciamo proprio a resistere alla gravità di mondi alternativi” J. Gottschall
Recenti studi di neuropsicologia confermano con sempre più chiarezza che la memoria più che un preciso duplicato dell’originale è un continuo atto creativo.
Non è che, ogni volta che ricordiamo un episodio o un evento della vita, affabuliamo o inventiamo un realtà ad hoc ma, piuttosto, ogni volta che peschiamo nell’esperienza passata ricostruiamo, raccontandocela, una storia che assume tonalità emotive, sentimenti e stati d’animo che arricchiscono, completano, danno significato al “ricordo”.
Si può dire, parafrasando Oliver Sacks in uno dei suoi ultimi scritti sulla memoria, che è la “verità narrativa” più che quella “storica” che modella la nostra impressione del mondo.
Conta, quindi, molto il modo in cui ce la raccontiamo: quanto aggiungiamo, più o meno inconsciamente, in termini di emozioni, sensazioni e impressioni, a ciò che abbiamo vissuto o stiamo vivendo.
Dice la psicoterapeuta e scrittrice Philippa Perry: “Le disparate, incompiute ed effimere impressioni della vita di tutti i giorni sono modellate dalle storie che ci raccontiamo. Esse assemblano il passato e il futuro per metterci a disposizione, nel presente, quelle strutture che ci servono per progredire verso i nostri scopi. Ci danno un senso di identità e, soprattutto, ci servono per integrare le sensazioni della parte destra del nostro cervello con il linguaggio della parte sinistra.”
E come gli occhi che, guardando da diverse posizioni e trasferendo a parti diverse del cervello, aggiungono profondità alla nostra visione, allo stresso modo, le due diverse descrizioni che nella nostra mente avvengono, trasformano il mondo e ne modellano in continuazione l’immagine che ce ne facciamo.
“Siamo predisposti per usare storie. Parte della nostra sopravvivenza in quanto specie dipese dal saper ascoltare le storie dei nostri antenati tribali che condivisero parabole e trasmisero la loro esperienza e la saggezza di coloro che vennero prima. Man mano che invecchiamo la memoria a breve termine si indebolisce e lo fa più velocemente della memoria a lungo termine. Probabilmente ci siamo evoluti in questo modo così da riuscire a raccontare alle generazioni più giovani le storie e le esperienze che ci hanno formati e che possono essere importanti per le generazioni future che hanno bisogno di crescere e prosperare.” (Philippa Perry)
Cosa raccontiamo? Come lo raccontiamo e, soprattutto, cosa continua a ripetersi nelle storie che “ci vengono in mente”? Cosa è nostro e cosa è inserito?
Se accettiamo l’evidenza che la memoria è costruita, la “verità” è più narrativa che storica e il mondo è tutto ciò che accade (Wittegenstein), ma questo accadere è continuamente scolpito dalla descrizione che ne facciamo… se siamo abbastanza intelligenti e flessibili da prendere atto di questa descrizione, dobbiamo lasciar cadere il racconto di un mondo statico e definito, di una realtà data e immutabile e dobbiamo interrogarci sulle storie: chi racconta, chi ascolta, quali messaggi passano.
Questa visione implica la necessità di raccontare diversamente anche il modo in cui, finora, il raccontare e il ricordare sono stati raccontati. Alcuni hanno già iniziato, altri… piantano saldamente i piedi nella “realtà”.
Buonasera Mauro,
cerco di dare un senso a questo mio impulso di raccontare scrivendo episodi, momenti significativi, ricordi.
Arricchendoli, vivendoli da prospettive diverse, aggiungendoci significati.
E sono qui a leggere il suo post.
Strano leggere il perché delle emozioni che sto provando.
Meraviglia scoprire quello che possiamo fare scrivendo la nostra memoria aggiungendogli significati da prospettive nuove e valori. Per non dimenticare, per riscoprire, per guarire.
Illuminante, la ringrazio.