La “meditazione istantanea” (uno dei titoli che apparirà spesso in bacheca) è un selfie interiore: un autoscatto di te stesso immerso in… ciò in cui sei immerso in questo momento. Sei tu che metti a fuoco, che decidi il tempo di esposizione e l’ampiezza del diaframma. Nel Buddismo Zen viene spesso chiamata Koan e consiste in un’affermazione paradossale o in un racconto usato per aiutare la meditazione e per risvegliare una consapevolezza profonda.
Questa è facile e ripetibile, più volte al giorno. Parte dalla famosa proposizione dello scienziato e filosofo, Wittgenstein, e se fosse un Koan sarebbe uno di quelli atti a realizzare l’unità di tutto il reale.
E, in tutto ciò che accade, la nostra, puntiforme, esperienza; il piccolissimo morso che selezioniamo e tutto quello che succede e a cui rispondiamo e verso cui l’inconscio e il corpo e l’abitudine rispondono… frammenti dell’esistente, percezioni e vaghi sprazzi di “quello che, in questo momento, colgo”. Cosa sente quella piccola parte della pianta del mio piede mentre tocco, calpesto, calco…? Cosa posso sentire e quanto sto attento nell’istante; cosa mi perdo e quanto, poco o tanto, conta?
Stare presente a questo, a come posso ignorarlo, a quanto stringo o allargo il puntino minuscolo dell’attenzione, verso fuori, verso dentro… sulla soglia che sono, qui, ora!