Cronaca 18 – Sul narcisismo II Parte

“… Lacan affermava che
il compito primo dell’analista
è quello di ‘custodire il silenzio'”
M.Recalcati

Così come non si può parlare di Disturbo Ossessivo Compulsivo senza parlare di speranza e di aspettative, allo stesso modo non si può trattare l’argomento del narcisismo senza approfondire i concetti di desiderio e considerazione.

Possiamo vedere il desiderare e il considerare come due gesti interni: due funzioni necessarie della psiche senza le quali di psiche non si potrebbe nemmeno parlare. Chi ha Psiche/mente ce l’ha non tanto perché percepisce, sente e ricerca la sopravvivenza quanto perché desidera e considera: progetta per muoversi verso ciò che vuole e immagina mondi, si inventa cose verso le quali spingersi.

Sia il termine Desiderio che il termine Considerazione contengono la parola sidera: astri, stelle, qualcosa a cui guardare, verso cui dirigere lo sguardo, fuori da noi.

Dice Massimo Recalcati nel libro “Ritratti del desiderio“: “Nel De Bello Gallico di Giulio Cesare i desiderantes erano i soldati che aspettavano sotto le stelle i compagni che non erano ancora tornati dal campo di battaglia. Più precisamente l’etimologia della parola “desiderio” deriva dallo stare sotto il cielo a osservare le stelle in un atteggiamento di attesa e di ricerca della via. Sidera significa infatti, in latino, stelle. Mentre il de privativo indica l’impossibilità di seguire la rotta segnalata dalle stelle e, dunque, una condizione di disorientamento, di perdita di riferimenti, di nostalgia, di lontananza, ma anche l’avvertimento positivo di ciò che è necessario alla vita, l’attesa e la ricerca della propria stella.”

Nella distanza dall’Altro e nel tentativo di riempirla sta il senso del desiderio. E il desiderio non è mai deciso: non decidiamo a quale stella guardare, non possiamo proiettare fuori da noi stessi qualcosa verso cui tendere… non è così che funziona: nessun bambino ha imparato a camminare perché ha pensato che sarebbe stato più comodo che procedere a gattoni o perché era prestabilito nel suo programma genetico.
Ci siamo mossi verso qualcosa, più spesso qualcuno, che stava dall’altra parte, l’Altro a cui tendere, desiderato e pregustato come ciò che voglio, che mi piace e che mi attira.

Per il narcisista questo “qualcuno” a cui tendere è la propria immagine. Succede così che la sua energia e la sua attenzione, le sue cure e il suo “amore” rimangono come chiusi dentro ad un cerchio stregato.
Quando si parla con un narcisista si ha l’impressione di non essere ascoltati e si fa la fine di Eco, la povera ninfa che nel mito cerca inutilmente di essere ricambiata: si cerca di catturare il suo desiderio, si spera di sentire il suo sguardo e di essere visti ma se ne esce sconfitti perché il suo desiderio è bloccato, troppo intento a fissare l’immagine e mantenere la posizione.

Capita, in verità, ad ognuno di noi: ogni volta che siamo impegnati ad avere ragione a tutti i costi; tutte le volte in cui sembra che mollare per un attimo e andare dalla parte dell’altro implichi un’offesa e una ferita, una perdita di immagine e “una minaccia alla nostra integrità”.

Dobbiamo considerarli (tenete ben presente il termine “considerarli”) come momenti malati: sprazzi di “psicopatologia della vita quotidiana”, in cui regrediamo ad una fase in cui l’altro smette di esistere e ci ritroviamo soli a difendere…. non si sa bene cosa… l’io, forse, un riflesso nell’acqua, qualcosa di così inconsistente che dobbiamo fare enormi sforzi per farlo sembrare forte e sicuro.

Narcisi sconsiderati: desideranti e non consideranti: non in grado di sostituire per un attimo al de privativo del desiderio il cum comprensivo e avvolgente della considerazione intesa come capacità di costellare, di vedere cioè nel caos momentaneo del conflitto, un ordine, un carattere, una possibilità di incontro.

Questa capacità di considerare e prendere in considerazione che è mancata  al Narciso mitologico e che l’ha portato alla rovina, che manca al narcisista patologico e che determina il suo inferno personale e che manca  a noi quando  irrigidiamo le nostre difese; questo gesto interno che, quasi miracolosamente, scioglie la corazza narcisistica e sblocca l’energia psichica è… fatto di silenzio.

E’ il momento in cui si mette a tacere il desiderio e ci si sofferma a considerare la propria natura invece di difenderla ad oltranza. L’attimo in cui si toglie l’attenzione da sé e ci si accorge di… tutto il resto.

E’ ciò che Narciso non ha fatto: ciò che lo blocca nel mito rendendolo una figura senza spessore, apparentemente sordo ma, in realtà, frastornato dal “rumore di un altro” che non vuol sentire.

E quante Eco (femmine e maschi)  inascoltate e sbraitanti capita di vedere nei paraggi di Narcisi (femmine e maschi) sordi e assordati.

Il “carattere” (anche il character inteso come personaggio e ruolo) è qualcosa che viene costellato: estratto come si estrae una costellazione dal cielo. Guardiamo verso l’alto o verso “l’altro” e vediamo una sorta di caos stellato. E, come dice Von Foerster definendo il disordine: “Se si percepisce poco o nessun ordine in un sistema la descrizione del sistema risulterà lunga”; detestiamo il disordine perché ci mette ansia e adoriamo le descrizioni brevi e proviamo ad estrarre un disegno/costelliamo/mettiamo lì immagini che ci servono per orientarci.

Il carattere, il nostro e quello degli altri è composto, innanzitutto, da desiderio che va incanalato, lasciato scorrere, fermato; a volte contenuto, a volte liberato. Altri caratteri ci girano intorno, raccontano le loro storie, chiedono la nostra attenzione, occupano il nostro spazio o “stanno lì vicino”. Considerare, essere considerati, considerare la considerazione che vorremmo… questo, insieme al desiderio, compone gran parte di ciò che siamo. non solo la nostra immagine ma molto di ciò che le sta attorno e che le dà spessore.

Dice ancora Recalcati : “Il desiderio umano oscilla strutturalmente tra il desiderio dell’Altro e il desiderio di avere un desiderio proprio senza che sia possibile decidere risolutamente per l’uno o per l’altro.”

E’ su questa oscillazione che bisognerebbe riflettere; su questo stare fra sé e l’altro e su questo non poter scegliere decidendo.
Decidere è, infatti, tagliare: compiere un gesto rumoroso e violento che traccia un confine e segna una differenza. Ci sono volte in cui va compiuto e serve per creare una distanza e per stabilire una separazione e un’indipendenza. E ci sono volte in cui va fermato perché bisogna considerare l’altro: protendersi, ascoltare, fare silenzio.

De Chirico

 

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