Sulla felicità: incentivi

“E’ più vasto del cielo – il cervello –
prova a metterli accanto
e l’uno l’altro conterrà sicuro –
e inoltre – anche te”
Emily Dickinson

Nel racconto “Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta” David Foster Wallace fa una sorta di descrizione della depressione del protagonista.
Ne parla come di una sensazione totale, qualcosa che coinvolge tutto l’organismo, tutta la mente e tutta la vita di chi ne soffre.
L’autore ne sapeva qualcosa del male oscuro avendone sofferto fin da ragazzo e il racconto è, in larga misura, autobiografico.

Inizia così: “Prendo gli antidepressivi da, quanto sarà, un anno, e ritengo di avere i numeri per dire come sono. Sono straordinari, davvero, ma sono straordinari come sarebbe straordinario vivere, che so, su un altro pianeta caldo e comodo, fornito di cibo e acqua fresca: sarebbe straordinario, ma non sarebbe la cara vecchia Terra.”

Scollegarsi, smetterla di essere invischiati in uno stato d’animo, allontanarsi dal proprio sentire e attutire, a volte fino ad anestetizzarlo, il dolore, sono modi per sopravvivere, strategie per andare avanti nella vita, per continuare ad essere efficienti e per non sprofondare in certi abissi del sentire che in casi estremi, come quelli di chi soffre di Depressione Maggiore, possono portare a non voler più vivere, a voler porre fine alla pena di un’esistenza pervasa dalla sofferenza.

Eppure, su un altro piano e nello stesso continuum (anche nel depresso, prima che la malattia si conclami e si cronicizzi) c’è una continua ricerca di stati d’animo, un anelito che ci spinge a riprodurre sensazioni, emozioni, sentimenti: qualcosa da “cara vecchia Terra” a cui siamo abituati e che vogliamo ritrovare in noi come l’indicatore del nostro stesso essere al mondo, vivi e pulsanti.

Parlando di Omeostasi, quel processo per cui il nostro corpo tende a mantenere stabili entro certi intervalli dei parametri come la temperatura corporea, la pressione sanguigna, i dosaggi ormonali che garantiscono il benessere e la sopravvivenza, lo psicologo e neurofisiologo Damasio, dice: “Già sappiamo in che modo gli esseri umani riconoscono il settore ottimale dell’intervallo omeostatico senza alcun bisogno di farsi controllare la biochimica ematica in laboratorio. La diagnosi non richiede alcuna esperienza particolare, ma solo il fondamentale processo della coscienza: nella mente cosciente, gli intervalli ottimali si esprimono come sentimenti piacevoli; gli intervalli pericolosi come sentimenti non troppo piacevoli o addirittura dolorosi.“.

C’è, insomma, un perenne monitoraggio della “quantità di sostanza ottimale”: quanta fame, sete, sonno, stanchezza… abbiamo e, quindi, di quanto cibo, acqua, riposo… abbiamo bisogno. Ma anche parametri molto più sofisticati vengono misurati “a nostra insaputa” e, prontamente comunicati nella forma di “sentimenti”.

Non veniamo a sapere cose importanti come “il livello di glucosio nel sangue, la quantità di ossitocina, di testosterone o di estrogeni in circolo” perché spesso, senza che ce ne accorgiamo direttamente, vengono presi provvedimenti per ristabilire il giusto livello interno di certe sostanze.
Ci pensano il cervello, il sistema nervoso e quello endocrino, “parti di noi” che possiamo permetterci “di non essere”: noi continuiamo ad “essere la mente” e a portare avanti la nostra vita su un piano diverso mentre sotto, ad un livello distante e inconscio, qualcosa adempie alle regolazioni che servono.

E come dice Damasio: “E’ possibile immaginare un sistema di rilevamento più trasparente? Il funzionamento ottimale di un organismo, che dà luogo a stati vitali armoniosi ed efficienti, costituisce il substrato stesso dei nostri sentimenti primordiali di benessere e piacere. Essi sono il fondamento di quella che, in contesti molto sofisticati, chiamiamo felicità”.

Insomma, come ebbe a dire Gallizio, in estrema sintesi, in un tweet di qualche tempo fa: “La felicità è fatta di cose semplici che suonano complicate come la propriocezione, tipo.” Semplici perché sembrano funzionare da sole, estremamente complesse perché ciò che ci arriva è il sentore di tutto questo, il sentimento di qualcosa che va bene, l’intuizione di una sazietà, di un’armonia, di uno starci bene sulla cara vecchia Terra, qui e non da qualche altra parte: immersi in un qualcosa che ci è familiare e che siamo motivati a raggiungere e a mantenere perché “è piacevole”.

Naturalmente l’essere felici non si esaurisce di certo nell’essere sazi: siamo così complessi che riusciamo a trovare piacevole un certo grado di fame e riusciamo a trovare incentivi in cose da cui un animale fuggirebbe a gambe levate.
Riusciamo a compiere salti mortali come: erotizzare l’assenza/tentare di afferrare l’inafferrabile/scoprire il piacere nel dolore.

Possiamo, tuttavia, riflettere sul valore che a questi incentivi attribuiamo.

Ho visto, nel mio lavoro, persone che si sentivano, per usare usare un’espressione di una paziente, “un mucchietto di nervi bisognosi” perché il loro incentivo preferito (una sniffata di qualche sostanza, un’abbuffata di carboidrati, l’affetto di quella inafferrabile persona, e solo di quella, non era disponibile).

Dobbiamo stare attenti agli incentivi: a quelle piccole dosi autosomministrate di piacere che abbiamo collegato a “certi oggetti”. Dobbiamo tenere presente che, a differenza di tanti altri animali, più semplici di noi, il nostro sentimento di felicità si basa su un milieu intérieur (il mezzo/ambiente in cui siamo immersi) che è anche frutto di idee, concezioni, esplorazioni e sforzi a cui ci siamo sottoposti.

Questo lavoro della mente e della cultura ha creato altri bisogni che potremmo definire “bisogni di incentivi” e questi si sono così intersecati con i bisogni più primordiali che, ora, non sappiamo più con chiarezza cosa, davvero, ci fa felici, a cosa sappiamo rinunciare, di cosa abbiamo profondamente bisogno.

Discriminare fra questi bisogni, imparare a distribuire la propria energia psichica, quella che in Psicoanalisi si definisce libido, e che se ne sta più o meno appiccicata a oggetti e soggetti, è uno dei compiti della Psicoterapia e, secondo me, uno degli obiettivi che ognuno di noi dovrebbe porsi.

David_Foster_Wallace

3 thoughts on “Sulla felicità: incentivi

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