“Non ha rispetto per il mondo
chi tenta di controllare
il proprio destino.”
J.Hillman
Intravedo in una rassegna stampa del mattino (e poi vado a cercare on line) un articolo dell’Avvenire dal titolo: “Salute, italiani sempre più depressi”.
Vi si cita la Relazione sullo Stato Sanitario del Paese da cui si evince che: “Gli italiani sono sempre più depressi. Almeno, stando al consumo di antidepressivi, che ha conosciuto un vero boom nell’ultimo decennio: se nel 2001 si consumavano 16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti; nel 2009 questa cifra è più che raddoppiata, salendo a 34,7 dosi… I dati dell’Osservatorio Nazionale evidenziano che il consumo di antidepressivi nell’ultimo decennio ha avuto un incremento medio annuo del 15,6%.” (Fonte: Avvenire.it, 13.12.2011).
Ora, a parte il fatto che il maggior uso di antidepressivi non significa, automaticamente, un aumento nel numero di depressi: potrebbe, infatti, essere cambiato qualcosa nei criteri in base ai quali si diagnostica una depressione, potrebbe essere (come è) che i farmaci vengano prescritti anche per altri disturbi diversi dalla depressione (gli Attacchi di Panico e anche il Disturbo Ossessivo Compulsivo “rispondono bene” quando trattati con i cosiddetti SSRI, un tipo di antidepressivi). A parte questo, dico, la mia idea è che, ogni volta che si parla della psiche della persona, occorra, innanzitutto, psicologizzare.
Occorre cioè chiedersi, restando in questo esempio e su questo argomento, cosa rende gli italiani più depressi?, cosa è cambiato in loro e intorno a loro o nell’interfaccia fra loro e il mondo in questi ultimi dieci anni?, e cosa è cambiato nella psiche dei medici e dei terapeuti che diagnosticano i disturbi e che suggeriscono o prescrivono le cure?
Più di dieci anni fa, durante una Lectio Magistralis che James Hillman tenne presso l’Università di Torino, mi capitò di chiedergli cosa ne pensasse del boom di antidepressivi che, già allora, cominciavano ad essere somministrati con maggior frequenza.
La prima risposta che mi diede mi spiazzò: disse che, prima di tutto, occorreva chiedersi dove andavano a finire tutti i soldi che sarebbero girati intorno al “Blue Mood”, la tristezza, la depressione, il mal di vivere. Poi, dopo avere un attimo scherzato su quanto possa essere fruttuoso trasformare ogni sintomo e ogni stato d’animo in una malattia, tornò all’argomento della lezione che, ricordo, era sulla Psiche, sull’opportunità di personificare certe tendenze dell’animo umano, guardandole come dei veri e propri personaggi che popolano il nostro mondo interiore, e sulla necessità di allargare i nostri confini e di “uscire dal cranio” diventando consapevoli del fatto che la psiche non è solo dentro la nostra testa ma “tutto intorno a noi”.
Questa è una delle tesi fondamentali del pensiero di Hillman e, dal mio punto di vista, anche uno degli antidoti più efficaci contro la depressione.
Sono infatti convinto che, ad esclusione forse dei casi più gravi (le Depressioni Maggiori o Endogene) tanti dei disturbi depressivi abbiano la loro origine proprio in una “chiusura”: una sorta di rigidità che ci separa dal mondo rendendoci sempre più soli e sempre meno in contatto.
Questa continua distanza, questo isolamento da “tutto il resto” non fa che aumentare l’egocentrismo e la paura. E più diventiamo preda della paura più cerchiamo di difenderci e di aumentare il nostro controllo su ciò che ci circonda. Ma il controllo, a sua volta, non fa che aumentare la rigidità perché, in un mondo sempre più “liquido” e complesso, l’idea di controllare l’esterno trincerandosi nelle proprie posizioni è destinata a fallire (vedi Bauman).
Questo è il significato della frase di Hillman che ho messo nell’incipit: non rispettare il mondo è, in questo senso, tentare di piegarlo al mio volere, sempre e comunque. E’ un mito e un ideale che ha funzionato fino a poco più della metà del secolo scorso: il mito dell’uomo eroico che piega al proprio volere un mondo che è ancora da esplorare e da trasformare.
Quei tempi sono finiti: qualcosa nel mondo è andato avanti più velocemente delle nostre menti e, ora, sta cambiandole.
Continuare a separare il dentro dal fuori, credere che le persone soffrano di attacchi di panico o di depressione senza tener presente che il mondo è impanicante e deprimente, significa perpetrare una scissione fra individuo e mondo che ormai non spiega più la complessità del “giardino” in cui siamo immersi.
Come è cambiato il giardino negli ultimi tempi e cosa è cambiato nel nostro sguardo? Ma, soprattutto: cosa dovrebbe cambiare per far sì che il cambiamento non ci travolga?
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Molto utile. Grazie