Mezzi idonei… e non!

“Senza la sensazione interna di abbondanza
possiamo essere ricchi e sentirci
come spiriti famelici”
J.Kornfield

26 Novembre, ore 9.30. Cammino dal centro di Milano verso il mio studio. E’ sabato mattina e la città è relativamente vuota. Quando giungo all’altezza del tribunale noto, dall’altra parte della strada, un assembramento di persone e mi accorgo che è una fila, ordinata e ferma, che si snoda da lì in avanti, fino alla Coin di Piazza 5 Giornate.

Saranno un 300 metri di coda: ordinati, in fila per cinque o per sei, più donne che uomini, abbastanza tranquilli ma evidentemente pronti a riversarsi nel grande magazzino non appena (alle 10) aprirà. Quando arrivo, percorrendo il marciapiede opposto, di fronte all’entrata leggo che oggi su tantissimi prodotti ci sarà lo sconto del 20%. Questo spiega (spiega?) la coda e la fretta, contenuta, ma che traspare soprattutto fra i primi della fila che cominciano a premere verso l’entrata.

Niente a che vedere con le scene trasmesse ieri in TV relative al Black Friday: il venerdì di grandi sconti subito dopo il Giorno del Ringraziamento. Lì la ressa si è trasformata in rissa e si sono viste signore che, sentendosi aggredite, hanno risposto a colpi di spray al peperoncino.
Vere scene da isteria di massa (vedi video), ammucchiate e tafferugli, al cui confronto questa tranquilla e solo vagamente impaziente coda, sembra una calma processione verso la felicità del consumatore: il bene, la merce scontata, che placa per un po’ la fame dell’Homo Oeconomicus.

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Dal libro “Il valore delle cose” di Raj Patel: “In un saggio del 1974, Richard Easterlin scoprì che gli individui con redditi superiori alla media si dichiaravano più felici dei loro omologhi più poveri. Fin qui nulla di sorprendente; ma Easterlin scoprì anche che quando un paese superava il livello di reddito al quale venivano soddisfatti i bisogni primari di alloggio, cibo, acqua e energia, il livello medio di felicità non aumentava. Il paradosso, in altre parole, è che oltre una certa soglia l’avere più denaro non rende più felici; l’individuo si ritrova invece imprigionato in un “ingranaggio edonico” (hedonic treadmill) nel quale la felicità consiste nell’ottenere un livello di consumi simile a quello dei propri pari; e se le condizioni degli altri migliorano più delle sue, l’individuo si sente più infelice, anche se sta meglio in termini assoluti.” (pag. 40).

Ecco perché capita che la “tranquilla signora in fila”, se comincia a sospettare che resterà indietro nella corsa all’oro e che “quella stronza di Jane” riuscirà a prenderne due, di piumoni, e forse per lei resteranno solo gli avanzi, può trasformarsi in uno strano animale che sputa spray al peperoncino.

Insomma, se sono arrivato a credere che la felicità è direttamente collegata al possesso e che per essere felice devo avere almeno le cose che ha il mio vicino, è ovvio che mi arrabbierò se lui riesce a comprare, prima di me e per  meno soldi, un oggetto che entrambi desideriamo.

Ma il punto è che , invece: “Sono  felici solamente quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale: cioè la felicità degli altri, il progresso dell’umanità, perfino qualche arte, o occupazione perseguiti non come mezzi, ma come fini ideali in se stessi. Aspirando in tal modo a qualche altra cosa, trovano la felicità lungo la strada.” (John Stuart Mill).

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Una riflessione.
Se, come dicevo nell’ultimo post, l’Eudaimonia è la consonanza con il proprio daimon, se è vero quindi che solo accordandomi con “ciò per cui sono portato” mi sentirò armonico e intero, se queste premesse sono vere, devo rendermi conto che non è procurandomi ulteriori oggetti che aumenterò il mio grado di felicità. Consumare di più potrebbe essere un mezzo idoneo per tenere in piedi l’economia, sicuramente è utile per “far girare danaro” ma non serve per allontanare la tristezza né per procurare gioia. E’ inoltre un ottimo mezzo per rendere tutti più invidiosi. L’invidia è “odio per un oggetto precedentemente erotizzato”: devo infatti desiderare qualcosa fino ad erotizzarlo per arrivare ad odiare chi lo possiede e basta guardare il video allegato per rendersi conto di quanta aggressività e di quanto potenziale odio ci sia in una situazione che ci rende innanzitutto dei consumatori.

Poco prima della propria morte G.Bateson in una conferenza tenuta all’Università del Michigan, riflettendo, fra l’altro, sui motivi dell’invidia  disse: “Gli scozzesi possiedono una parola, fey, che ha la stessa radice di fate (fato) e faery (il mondo della magia, il regno delle fate) e che indica uno stato elevato in cui molte verità prima ignote diventano chiare […] Si tratta di un termine piuttosto preciso con il quale si indica quello stato mentale che è indotto dalla certezza assoluta della morte. Quando la morte è prossima, certa e indilazionabile, accade di poter vedere con una chiarezza nuova e la mente può librarsi fino ad altezze inusitate. E’ uno stato cui si giunge grazie alla liberazione dalle spinte appetitive e che credo coincida più o meno con quello che i buddhisti chiamano “non attaccamento”. William Blake dice che allora è possibile guardare attraverso l’occhio, e che le illusioni del successo e del fallimento, della vergogna e della vanità si dileguano. Se tutti fossero in punto di morte cesserebbe ogni invidia.” (Dove gli Angeli Esitano. Pag. 256).

Non sto sostenendo che si dovrebbe sempre tenere presente la morte, ma credo, tuttavia, che un buon antidoto alla fame consumistica sia una riflessione più profonda su cosa dura e cosa è impermanente, per cosa vale la pena mettersi in fila, quale “felicità” stiamo cercando di raggiungere e quali siano i  mezzi idonei per perseguirla.

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