Cronaca 4 – Trattenere/Lasciar andare

“Questo mi ricorda una storiella!”
G.Bateson

Ci sono proverbi, favole, storielle e semplici aneddoti che parlano dei modi in cui costruiamo la nostra realtà psicologica.

Il labirinto ne è disseminato. A volte sono i punti di vista di chi, volendo insegnare qualcosa su come la vita andrebbe vissuta, su come certe situazioni andrebbero affrontate, su come tirarsi fuori dai guai e come non ficcarvicisi, si è preso la briga di scriverli o di raccontarli.

Alcune di queste storie le abbiamo collezionate perché ci sono piaciute o forse perché ci hanno dato ragione o ci hanno consolato. Altre sono semplicemente lì e a volte funzionano condizionando il nostro modo di pensare e di percepire il mondo che ci circonda.

Una che mi piace particolarmente e che a volte racconto è una breve storia Zen che parla di come capiti di esercitare inconsapevolmente certe prese e di mantenere certe posizioni.

In Giappone due monaci ternavano, una sera, verso il loro monastero. Avevano passato la giornata in un luogo di culto presso il quale erano stati inviati dal loro abate a sostenere una discussione filosofica con altri monaci. Camminavano a passo spedito per rispettare la regola di entrare prima del calar del sole, senza lasciarsi distrarre dalle tante tentazioni del mondo che avrebbero potuto distoglierli dai loro voti di povertà e di astinenza. Per tutto il giorno era piovuto e quando arrivarono nei pressi di un fiumiciattolo che di solito guadavano senza difficoltà, lo trovarono molto ingrossato. Sollevando le vesti si preparavano ad attraversarlo comunque, quando notarono, seduta su un masso lì vicino, una giovane donna piangente. Dall’abbigliamento e dal trucco si capiva che esercitava il mestiere di prostituta. Nonostante il divieto di rivolgere la parola, per strada, ad una donna (tanto più una di facili costumi) uno di loro mosso a compassione le chiese quale fosse il motivo del suo dolore. La ragazza rispose che il suo protettore l’aveva inviata da un cliente facoltoso che stava al di là del fiume. Se l’avesse attraversato, così in piena, si sarebbe rovinata i vestiti e sarebbe arrivata in condizioni impresentabili; se fosse tornata dal padrone senza compiere il proprio dovere sarebbe stata sicuramente punita. Senza pensarci troppo il monaco decise di alleviare le sue pene: la fece salire sulle proprie spalle e guadò il fiume insieme al suo compagno, trasportandola sulla riva opposta dove la scaricò e prese congedo da lei, benedicendola.

Nel frattempo il sole era tramontato ed entrambe i monaci si affrettavano verso il monastero. L’altro monaco però, che fino a prima dell’incontro con la prostituta aveva conversato amabilmente con il confratello, si era fatto cupo e taciturno e per tutta la mezz’ora di cammino che li separava dal convento rimase imbronciato e sulle sue. Interrogato dal primo che gli chiedeva spiegazioni di questo cambio di umore rispose che non poteva perdonarlo per essersi fermato a parlare con una prostituta e per averla aiutata a svolgere il proprio peccaminoso lavoro trasportandola sulle spall e avendo quindi contatti fisici con lei. Si sentiva in colpa per non averlo trattenuto dal compiere queste azioni riprovevoli e in imbarazzo perché ora avrebbe dovuto parlarne con l’abate. Il suo compagno gli rispose che gli dispiaceva di averlo fatto star male trasportando al di là del fiume una ragazza. Gli fece notare tuttavia che l’aveva subito scaricata, mentre lui, che non l’aveva nemmeno toccata, stava ancora portandola sulle spalle!

Quante cose portiamo inutilmente sulle spalle? E quanto siamo condizionati da giudizi che esprimiamo e che dimentichiamo di cambiare anche quando ci stanno rovinando la vita?

Come viene modificata la nostra percezione della realtà e quanto il luogo in cui ci troviamo è reso più o meno cupo, più o meno stretto, dal modo in cui tratteniamo certi eventi o ne lasciamo andare altri?

La metafora che uso e che descrive la mente come se fosse un luogo, parla di uno spazio che non è “dato una volta per tutte” e che rimane immutabile, ma piuttosto di un luogo che varia in base a certi gesti che, più o meno consapevolmente, compiamo.

Il risentimento è uno di questi gesti. Il monaco della storiella “non aveva fatto niente” ma andava avanti a portare il peso del proprio rancore.

Ho visto pazienti trattenere a lungo un’offesa ricevuta e “dimenticarsene” senza tuttavia lasciarla andare. E ho visto i loro visi e le loro posture cambiare quando si sono accorti del peso che stavano trattenendo e hanno mollato la presa.

Mi è capitato, sintonizzandomi con alcuni di loro, di sentire lo sforzo che esercitavano nel tentativo di non lasciar andare certi eventi successi, a volte, anni prima. E ho visto il sollievo sui loro volti quando sono riusciti, magari dopo molte sedute, a smettere di trattenere.

Una volta una mia paziente disse: “Adesso che sono uscita dal buco che avevo scavato per rintanarmi con il mio dolore, anche questa stanza mi sembra più grande”. Ovviamente la stanza era la stessa ma anch’io, occupandola con lei, ora che il suo modo di contenere il proprio dolore era cambiato, la percepivo più spaziosa di prima.

Possiamo chiederci quale storia interna, quale descrizione del mondo, condizionava il monaco più intransigente e quale invece ha spinto l’altro a comportarsi nel modo in cui si è comportato. E il primo avrebbe agito nello stesso modo se prima avesse ascoltato questa storia sui due monaci?

Quante delle storie che ci sono state raccontate influenzano ancora il nostro comportamento e quante altre andrebbero raccontate di nuovo o ascoltate con orecchie diverse?

Queste domande sono corollari della domanda psicologica fondamentale “Dove sono?”. Quando ce la chiediamo dobbiamo anche essere disposti a chiederci: “In che modo il mio trattenere e il mio lasciar andare determinano le dimensioni di questo spazio vitale che sto percependo?”

E, detto in termini più relazionali: “Come questo mio modo di prendere, in questo momento, le cose, questa posizione che tengo, questo atteggiamento (teso o rilassato, proteso o evitante, ecc.) modella lo spazio che mi circonda e le relazioni che intrattengo?”

Rispondere a queste domande è di per sé terapeutico perché ci aiuta a renderci conto di alcune delle prese che esercitiamo sulla nostra psiche e sul nostro ambiente. Diventandone consapevoli potremo vedere quanto, cambiandole anche solo un po’, cambia il nostro umore e il nostro modo di occupare lo spazio che ci circonda; quanto lo appesantiamo o lo rendiamo più leggero e quanto appropriati sono i nostri sforzi per modificarlo.

Osservare accuratamente questi gesti interni fondamentali aumenta inoltre la nostra consapevolezza del labirinto e ci aiuta a comprendere quanto esso sia modellato momento per momento dai giudizi interni oltre che dall’ambiente.

3 thoughts on “Cronaca 4 – Trattenere/Lasciar andare

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